Regia di Fatih Akin vedi scheda film
Sono bastati dieci anni per ricostruire un Paradiso perduto?
Immondizia nel Giardino dell’Eden è la traduzione del titolo originale Müll im Garten Eden, e nella sua immediata evidenza rende meglio di altre parole alate quello che accade un po’ ovunque nel mondo, nella fattispecie a Camburnu, villaggio di 1700 anime nel nord-est della Turchia, amena località turistica sulle rive del mar Nero.
Amena fino al giorno in cui sulla collina retrostante, nel grande incavo del terreno prima occupato da una miniera di rame a cielo aperto dismessa, il governo regionale decise di piazzare una discarica di rifiuti senza le adeguate misura di sicurezza (anche se parlare di adeguatezza di fronte ai disastri ambientali che l’uomo riesce a produrre è grottesco)
Fatih Akin era lì a girare l’ultima scena di un film e trasecolò. Quel luogo gli apparteneva, i nonni vivevano lì, era la sua terra.
Il cosiddetto “turco tedesco” di seconda generazione, nato ad Amburgo, vedeva per la prima volta quel mare e il verde intenso delle rigogliose piantagioni di thè, la risorsa maggiore, con la pesca, di quegli umili, sentiva il calore di un mondo che nessuno voleva abbandonare per la grande città, il mare era bello e pulito, la costa frastagliata e rocciosa faceva pensare alla Sardegna.
Ma questo Paradiso stava per crollare, nulla più sarebbe stato come prima, dal villaggio non restava che scappar via, potendo.
Per cinque anni, dal 2007, Akin registrò ogni step dell’orrendo abuso, e quando non poteva essere lì un fotografo del paese, con grande pignoleria e capacità, seguiva e filmava ogni tappa dell’assurda vicenda.
Anche all’allora ministro dell’Ambiente Osman Pepe Akin fece una visita.Quando il politico, dopo l’orgogliosa accoglienza riservata al famoso regista, apprese il motivo della sua visita lo mise alla porta dicendo: “Lascia andare queste cose, continua a fare quello che sai meglio, gira un film “.
E un film Akin girò portandolo a Cannes 2012 dove l’apprezzamento fu grande.Ma, si sa come vanno queste cose, poche copie editate e scarsa distribuzione, il film divenne pressochè invisibile.
Eppure bisogna vederlo, ipnotizza.
Nulla dei meritevoli ma soliti documentari sull’argomento, qui c’è il cuore, si respira l’indignazione e l’impotenza della povera gente che non ha risorse, che crede che la terra sia un posto in cui vivere e prima o poi si accorge che non è così.
Partiamo dall’aria: da allora a Camburnu non si respirò più, maleodorante, “sembra che ci sia un cadavere” dicevano. Il governo, per rendersi ridicolo oltre che criminale, adottò una trovata geniale spruzzando la discarica con potenti getti di deodorante.
Proseguiamo con la falda freatica inquinata. La tela di copertura del terreno, usurata, si rompeva e i liquami che l’immondizia produce si sversavano nel fiume e nei ruscelli arrivando al mare.
Le piogge facevano il resto, il fango invadeva strade e campi, un disastro senza fine a cui l’azzimato giovane assessore all’ambiente opponeva giustificazioni da operetta.
E poi gli animali, uccelli predatori, insetti di ogni specie, cani, a frotte, le foglie di thè imbrattate di escrementi, raccolti da buttare.
Per finire, dopo la costruzione di un inutile muro di contenimento, la discarica esplose per i gas prodotti, un vulcano non avrebbe fatto di meglio.
Serve altro?
Akin ci guida in un percorso dell’orrore, non enfatizza, guarda e ci fa guardare, con calma, quella degli abitanti che non cercano scontri, non vogliono violenze, ma aspettano ogni giorno l’arrivo dei politici, dei tecnici, dei colletti bianchi in grandi automobili con autista e facce prive di vergogna che guardano, balbettano frasi inutili, fanno promesse e ripartono.
Akin fa parlare pochi protagonisti, ma la presenza è corale, donne scavate dalla fatica, bimbetti che aiutano i grandi e giocano, vecchi in trattoria che commentano, giovani, pochissimi, che pure non dimenticano di esserlo e qualche concerto rock non se lo fanno mancare.
Uomini e donne che vivono sulla loro pelle le conseguenze di una politica sporca e truffaldina, che manda in tribunale il sindaco che non voleva dare la concessione alla discarica, gente che aspetta, discute, agita striscioni.
Tutto questo accadeva fino al 2012 e le prospettive per il futuro non erano rassicuranti.
Dieci anni dopo, un’accurata ricerca sul web non ha trovato notizie sulla sorte della discarica, mentre un sito turistico esalta i pregi del posto e invita a godere di tanta bellezza.
Sono bastati dieci anni per ricostruire un Paradiso perduto?
www.paoladigiuseppe.it
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta