Regia di Michel Franco vedi scheda film
Vincitore del Un Certain Regard cannense nel 2012 e diretto dal regista messicano Michel Franco, Despuès de Lucia è l’inerme umanissimo resoconto di un graduale disfacimento. Il motore di tutta la trama, e della maggior parte degli inspiegabili movimenti dei protagonisti, è solo accennato, indicato dal titolo, ma non è mai al centro del film e dell’inquadratura. Questo motore è la morte di Lucia, e questa tragica scomparsa è la spinta verso una drammatica elaborazione del lutto, che spinge il marito e la figlia di Lucia, Roberto e Alejandra, a trasferirsi in un’altra città per cercare di andare avanti. Questo motore (la morte di Lucia) sta dunque fuori campo, oltre i bordi dell’immagine, imploso nei silenzi e nella gelida quotidianità dei due protagonisti.
Michel Franco accentua questo gelo e questo disagio tramite una regia affilata e solo apparentemente lontana, assai raffinata nel compensare l’utilizzo di frequenti campi lunghi (a generare il vuoto intorno ai protagonisti anche negli spazi stretti), e dunque dell’ostentata distanza, con una sempre ben consapevole strutturazione dell’immagine. Ogni singola inquadratura di Despuès de Lucia, immobile se non a bordo di un auto o di una barca in movimento, si trova sempre ad altezza uomo. Anzi, ad altezza di personaggio, di protagonista. Sul filo d’acqua se Alejandra sta nuotando, o ad altezza pavimento se Alejandra è coricata per terra, la macchina da presa di Franco ha interesse a mantenere una visione umanistica della vicenda, incentrata sulle reazioni umane - nascoste sotto il travestimento dell’accondiscendenza e del riserbo. Non esattamente un approccio realistico, quanto piuttosto selettivo e insistito sulle sfortune e sui mali che si riversano sui due personaggi.
Silenzioso, ridondante, seppur attraversato da una tensione costante e pregnante grazie all’ottima regia di Michel Franco, Despuès de Lucia garantirebbe un rigore austero e quasi perfetto se non si insistesse in maniera tanto programmatica sugli atti di bullismo di cui, a un certo punto, è vittima Alejandra. Costantemente estranea al mondo che la circonda, soggetta a una metamorfosi durante il film che la vede sempre più chiusa in se stessa fino a quasi farla “scomparire” (a tutti, ma non alla cinepresa), Alejandra presenta un profilo caratteriale sacrificato a favore dei continui crescenti atti di violenza di cui è succube a causa dei coetanei, in mezzo ai quali si inoltra spesso anche Franco e di cui egli comunica la vacuità, la superficialità, il cinismo. Questo compiacimento nel destare l’indignazione nello spettatore viene però compensato dall’ambiguità del personaggio di Roberto, uomo martoriato all’interno, freddo all’esterno, forse incapace di esternare la propria indole potenzialmente aggressiva – e dunque la sua
disperazione.
Un film, Despuès de Lucia, che non aspira al realismo assoluto. Sebbene non si faccia uso della musica, e si mantenga un profilo apparentemente entomologico, lo sguardo di Franco è sempre vicinissimo ai fatti narrati. Anzi, spesso il montaggio cadenzato, sincopato, ellittico, suggerisce una certa invadenza dell’occhio del regista, che seleziona gli eventi e ne delinea la rovinosa torrentizia casualità. Il susseguirsi degli accadimenti e il loro sviluppo (specie per ciò che riguarda la violenza contro Alejandra) si traducono infatti in una sistematica ricerca, come a voler dimostrare qualcosa, una spinta che corrompe un po’ la supposta purezza e il supposto candore (mortuario) della regia di Franco. È vero anche però che, nonostante la conseguenzialità delle sequenze rimanga intatta, è il lato morale etico della vicenda a lasciare dubbi nello spettatore, e ad evitare per fortuna di dare risposte, grazie a un finale agghiacciante e a un’osservazione terribile e angosciante di come la cattiveria umana possa esprimersi in maniera assolutamente gratuita.
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