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Roman Polanski: A Film Memoir

Regia di Laurent Bouzereau vedi scheda film

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La recensione su Roman Polanski: A Film Memoir

di barabbovich
8 stelle

Sembra di essere in salotto con loro, quei due vecchi amici che si conoscono dal 1964, ad ascoltare il loro garbato amarcord che, a dispetto di un racconto biografico davvero incredibile, non si danno alcuna aria, né cedono alla tentazione di romanzare il racconto. Uno si chiama Andrew Braunsberg: per anni ha fatto il produttore cinematografico. L'altro, l'intervistato agli arresti domiciliari per aver fatto sesso con una minorenne qualche decennio addietro, è Roman Polanski. La sua storia, nel botta e risposta di questo documentario così essenziale che alle riprese in campo e controcampo nel salotto di casa aggiunge soltanto qualche immagine di repertorio, comincia da Parigi, dove Polanski è nato nel 1933. Quando aveva appena 6 anni suo padre, un ebreo polacco, prende la più assurda delle decisioni: quella di ritornare in patria. È quindi a Cracovia che comincia il calvario del regista: l'invasione nazista, le deportazioni di massa, la madre finita nei forni crematori, il padre nei campi di sterminio. Ce ne sarebbe abbastanza per questo ragazzino brillante ma svogliatissimo a scuola, che con i boyscout scopre il suo talento attoriale e che comincia a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo facendo un po' di radio già a 13 anni. E invece quel ragazzino che forse ha un corpo così piccolo "perché ha conosciuto la fame" non si arrende alle avversità: arriva così la prima particina con Andrzej Wajda, regista polacco di culto, e poi il ritorno in Francia, la prima marchetta cinematografica con un horror di serie B (Repulsion), girato dopo l'inatteso successo de Il coltello nell'acqua. Questo globetrotter talentuoso continua a spostarsi per meridiani e paralleli: Londra, quindi gli States, in un pendolio continuo tra America e vecchio continente. L'evento clou della sua vita porta la data del 1969: Charles Manson, un killer schizofrenico e carismatico, a capo della sua "family" massacra la bellissima moglie del regista, Sharon Tate, mentre lui è in Europa. La voce "cronaca nera" della sua biografia si infittisce con l'accusa - peraltro riconosciuta - di essere andato con una minorenne e con un processo, prima mediatico e poi giudiziario, infinito. Ma a fronte di una così fitta collezione di disgrazie c'è anche un talento registico smisurato, una trafila di film di successo e qualità (lui, dice, sulla lapide vorrebbe essere ricordato per Il pianista), il matrimonio con Emmanuelle Seigner e i figli.
Il film-memoriale si lascia gustare per l'umanità che tracima dalle parole e dallo sguardo di Polanski, per come la rievocazione autobiografica viene intrecciata nel montaggio con i frammenti di vita disseminati nei suoi film, per l'ironia sottile e l'aria, nonostante tutto, leggera.   

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