Regia di Brandon Cronenberg vedi scheda film
Un fanta-horror, si può definire così “Antiviral”, il primo film di Brandon Cronenberg.
Cronenberg, un cognome ingombrante, che fa parlare e giudicare prima di vedere il film, anche perché la storia di “Antiviral” tratta un tema caro e fondamentale a Cronenberg senior: la mutazione della carne e dello spirito, quasi che il figlio cercasse subito un confronto aperto con il padre, senza troppi giri di parole.
In un futuro nemmeno troppo lontano, la tendenza più alla moda è quella di farsi iniettare in fanta-cliniche i virus di malattie appartenute a star dello spettacolo. Le provette di sangue infetto vengono vendute direttamente dal vip al fan tramite una clinica asettica parafarmaceutica che illustra con disinvoltura quanto può essere seducente avere un herpes appartenuto alla star più in voga del momento. Ovviamente quando una moda prende piede, ne nasce parallelamente un mercato pirata accanto, più economico, che smercia i prodotti “rubati” in “botteghe” di fanta-macelleria, dove si producono strane bistecche generate dalle cellule prese sempre ai vip.
Sid March (Caleb Landry Jones) lavora per la clinica che vende i virus e nello stesso tempo si inietta i virus più popolari da smerciare di contrabbando, fino a iniettarsi il sangue malato di Hanna Geist, la più popolare diva del momento, che però dopo poco tempo muore per una misteriosa influenza contratta in Cina. Sid sta male, viene rapito per il prezioso virus che il suo corpo contiene, per creare una nuova tendenza: morire come i propri idoli.
La fanta-storia vuole che il virus che Sid ha rubato e di cui sta morendo è stato in verità creato su misura per la star, proprio per creare un nuovo tipo di mercato, più ricercato, quello della “morte da famosi”.
Colpi di scena durante e alla fine del film non mancano, tutto il film è denso di una atmosfera surreale, pesante e (passatemi la battuta) malata. Brandon Cronenberg riesce a mantenere la tensione, aumentandola e anche esasperandola in alcuni punti, non cadendo mai in facili tentazioni con esibizioni di effetti speciali a buon mercato. Aghi nelle vene, sensazioni di malessere e nausea, herpes in primo piano sono gli elementi più disturbanti piuttosto che soffermarsi su improbabili deformazioni dovute a sconosciute malattie create da fantastiche provette, perchè riconoscibili e provati dalla maggior parte del pubblico.
Ci sono pure elementi che fanno immancabilmente pensare al grande cinema di Cronenberg padre, una bellissima scena in cui il corpo di Sid si fonde con apparecchiature elettroniche (subito nella testa “eXistenZ”), oppure un video parlante e seducente che riproduce il corpo di Hanna Geist dopo morta (qui viene alla mente Debbie Harris in “Videodrome”) e molti particolari che citano (non scimmiottano come ho letto altrove) il padre di un certo tipo di cinema, oltre che (in questo caso) il proprio padre naturale.
Un film molto personale per Brandon Croneberg, che in modo intelligente si è subito esposto nel modo più pericoloso al giudizio quasi sempre prevenuto di un certo tipo di pubblico e critica. Un figlio d'arte, è vero, ma che ha subito imposto la propria impronta personale su un genere che sicuramente conosce bene ed ha digerito a livello emozionale, per questo non si è fatto prendere la mano da facili trucchi di scena, da azioni frettolose, ma ha misurato bene tensione ed effetto, scegliendo anche gli attori con cura e dirigendoli con sapienza. Bravissimo infatti il protagonista Caleb Landry Jones, che carica sul suo esile corpo tutta la sofferenza interna di una infezione mortale non voluta, ma forse desiderata, morbosamente cercata.
Sempre piacevole ritrovare Malcom McDowell, anche se in piccole parti come questa del medico curante (e innamorato) di Hanna Geist, della quale ha innestato sul proprio braccio un lembo di pelle per poterla accarezzare quando vuole.
Il corpo come limite da superare ma da controllare allo stesso tempo, un tema davvero affascinante, perché qui il gioco prosegue anche dopo la morte, e qui mi ritorna in mente la frase finale di “Videodrome”: “gloria e vita alla nuova carne”, ma chi non citerebbe Cronenberg in un contesto simile? Perciò benvenuto al nuovo Cronenberg.
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