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Il sospetto

Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film

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La recensione su Il sospetto

di Peppe Comune
8 stelle

Lucas (Mads Mikkelsen) vive in un piccolo paese della Danimarca, di quelli in cui si conoscono tutti tra di loro e dove la passione che accomuna un po’ tutti gli uomini è la caccia ai cervi. Dopo un matrimonio disastrato e l’ottimo rapporto col figlio adolescente Marcus (Lasse Fogelstrom) che sta ritornando a vivere con lui, la sua vita sembra volersi rimettere sulla giusta gareggiata. Ha trovato lavoro nell’asilo del paese gestito da Grethe (Susse Wold) e inizia anche a frequentare un’altra donna, Nadja (Alexandra Rapaport). Ma un giorno Lucas viene travolto da un infame calunnia : è accusato di pedofilia. Tutta la comunità in cui vive gli si rivolta contro, compreso Theo (Thomas Bo Larsen), il suo miglior amico, il padre di Klara (Annika Wedderkopp), la bambina che, a causa di estemporaneo moto di collera nei confronto di Lucas, innesca senza volerlo una pericolosa caccia alle streghe.

 

 

Quattordici anni dopo “Festen”, Thomas Vinterberg torna con “Jagten” (premiato a Cannes) a fare un film davvero degno di nota. Anche nel film che segnò il sorprendente esordio alla regia del regista danese era una vicenda di pedofilia l’elemento catalizzatore capace di corrompere irrimediabilmente la facciata perbenista di una gioviale riunione di famiglia ; così come comune ai due film è il fatto che il tutto si compie all’interno di una comunità di persone ben delineata nelle sue caratteristiche essenziali, con dei rapporti sentimentali consolidati nel tempo e dei rituali rigidamente canonizzati. E’ la cifra stilistica a differire del tutto. Mentre “Festen” aderiva a pieno titolo al cartello sperimentale denominato “Dogma 95” voluto da Lars Von Trier, finendone per rappresentare uno degli esiti più felici, “Jagten” segue una tale linearità narrativa da mostrarsi come un film che ha gli ingredienti tipici della classicità. Un “classico”, ad esempio, è mettere subito in chiaro chi è il buono con cui si deve parteggiare, altri son il far leva sulla robustezza di un’amicizia rinsaldata dai rituali virili della caccia e delle bevute a fiumi, o la rappresentazione dei legami affettivi secondo lo schema circolare della iniziale pacificazione-crisi dei rapporti sentimentali-discesa al punto più basso–risalita-riappacificazione. Gli esiti più o meno felici a cui si giunge dipendono poi dal modo in cui vengono gestiti detti ingredienti, dalla credibilità conferita al tipo d’umano rappresentato, dall’onestà intellettuale, che definirei antiricattatoria, che sorregge la struttura narrativa del film. Credo che “Jagten” sia un ottimo film (non un capolavoro però) soprattutto per due opzioni narrative operate da Vinterberg, scelte naturalmente connesse tra di loro, ma che, nel mentre si intrecciano l’un l’altra, sono suscettibili di condurre a riflessioni diverse e di più ampia portata a seconda della visuale che si sceglie di adottare. La prima è quella relativa alla scelta di far rimanere sullo sfondo le vicende riguardante l’indagine di polizia e le perizie psichiatriche svolte sui bambini dell’asilo che condurranno alla condanna per direttissima di Lucas. Thomas Vinterberg non mette affatto in discussione il comportamento dei genitori i quali, di fronte alla possibilità che nella scuola frequentata dai propri figli possano essersi verificati degli abusi sessuali, assumono nei loro confronti un atteggiamento giustamente protettivo. Ma dietro l’azione a dir poco frettolosa di educatrici scolastiche, psicologi dell’infanzia e poliziotti, unita alla velocità con cui un esponente stimato della comunità viene fatto oggetto del pubblico lubidrio solo perché si ha fede nell’assunto che “una bambina non mente mai”, l’autore danese proietta l’idea che ogni comunità di persone, grande o piccola che sia, sa partorire la sua sindrome del nemico : per difendere l’indissolubilità del suo spirito di corpo, per potersi igienizzare ogni tanto, per esorcizzare le paure provenienti da cose che non gli riesce di conoscere fino in fondo. La seconda, la più importante a mio avviso, è quella di investire tutto sul volto di Lucas, è solo attraverso lui che cogliamo i segni di una rabbia sociale in continua espansione. Vinterberg mette in risalto tutti gli slanci emotivi dell’uomo cogliendone il senso di profonda ingiustizia che si insinua in lui per il fatto di sentirsi braccato e bandito nel territorio in cui è sempre vissuto (proprio come i cervi a cui da la caccia per mera consuetudine) e in cui si è sempre sentito stimato. Lucas non viene creduto semplicemente perché una bambina non può mentire su “certe cose”. La storia di un uomo mite e premuroso viene cancellata in un attimo di fronte all’insinuazione di un dubbio atroce a cui, per eccesso di zelo, non si può non dare credito. Lucas sembra accettare questa storia con malcelata rassegnazione perché lui è l’unico che può accertarne l’inverosimiglianza. Ma vi si ribella anche, in nome di un amicizia antica che avrebbe dovuto riconoscere la verità dentro la sincerità dei suoi occhi. A corollario di tutto c’è poi un finale alquanto spiazzante (che ci restituisce, a mio avviso, l’appropriatezza della corretta traduzione del titolo originale,che è “La caccia” e non “Il sospetto”) e volutamente ambiguo che ci mostra un allegra riunione tra amici ad un anno di distanza dalle accuse di pedofilia rivolte a Lucas. Si ritrovano tutti in una bella tenuta di campagna in prossimità del bosco e tutto sembra accadere come se nulla fosse successo in precedenza : Lucas ritorna a giocare con la piccola Klara, si beve e si canta con autentico trasporto emotivo e il giovane Marcus viene iniziato alla vita attraverso il battesimo della caccia. E’ come se Thomas Vinterberg intenda suggerirci che nella società degli uomini lo spirito di corpo è un qualcosa da preservare ad ogni costo, oltre ogni rancore e al di là di qualsiasi imprevisto, e che, per questo fine superiore, vittime e carnefici, finti o reali che siano, finiranno sempre per confondersi. Grande prova d’attore di Mads Mikkelsen (premiato a Cannes), icona ormai conclamata del cinema nordeuropeo (per Nicolas Winding Refn soprattutto in “Valhalla Rising”,“Pusher ” e “Bleeder”,ma anche per  Anders Thomas Jensen in “Le mele di Adamo”). Bel film, da consigliare.

 

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