Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
In una società che di norma regala fucili e con il virile rito arcaico del battesimo della caccia festeggia il passaggio all’età adulta dei propri figli, , il legame tra i suoi componenti, sotto la parvenza di convivenza civile non può che essere un legame di violenza.
The hunt (La caccia) è il titolo originale del bellissimo film di Thomas Vinterberg, danese, l’unico che abbia mai aderito al Dogma vontrieriano in maniera assoluta con l’altrettanto splendido Festen (1998). Ancora una famiglia – sconvolta - e la pedofilia che fa da perno su un’ordinaria storia di ingiustizia. Il tema della caccia è sintomatico di una violenza sotterranea e ad un desiderio ancestrale di sopraffazione che anima le azioni di una ristretta comunità di un paese perbene. L’atavico istinto ferino dell’accerchiamento e della soppressione della preda, soffocato dalle buone maniere imposte dalla società civile , viene scaricato nella pratica collettiva della caccia al cervo , fino a quando una preda ben più succulenta si presenta indifesa, alla mercé della giustizia sommaria della collettività.
Lucas , un gigantesco Mads Mikkelsen giustamente premiato a Cannes come miglior attore, è un educatore di un asilo. E’ ben inserito socialmente e rispettato. A causa di un equivoco generatosi con la figlia di un suo amico viene additato come possibile pedofilo. Da quel momento la collettività gli si rivolterà contro e la sua vita precipiterà in una spirale di sospetti e condanne sommarie che lo porteranno sull’orlo della disperazione.
Il sospetto è un film sulla percezione ambigua dei gesti che scandiscono la quotidianità, l’interpretazione di segnali che a seconda della convenienza acquistano valori diametralmente opposti. La necessità di una preda è la condizione essenziale di quella comunità per confermare la propria coesione e identità.
C’è la pedofilia? Aleggia come spettro in una messa in scena asciutta e crudele, crea ombre sul viso di Lucas, mentre trabocca di sgomento il suo sguardo. Il sospetto è più crudele della colpa, più invasivo e indelebile. Aleggia come paura generalizzata ma viene attesa come pretesto per sciogliere le catene che limitano l’ipocrisia entro i canoni decodificati dei rituali sociali. Il Natale e la santa messa, gli occhi carichi di umana pietà, i volti stravolti dalla pesantezza del sostenere la parte dei giusti mondando la coscienza del condannare un uomo come colpevole al di qua di ogni ragionevole dubbio in virtù di un collettivo senso di giustizia. L’ equivoco marchiano: I bambini non mentono mai. Questo l’equivoco di una comunità distratta ma impegnata in modo che non si veda. Non conoscono i figli ma forse hanno ragione. Quello che muove la necessità del falso in un bambino – senza bisogno di ottenere un vantaggio, tipico della menzogna dei grandi – è la necessità di attenzione, quell’attenzione negata dall’adulto. La bambina accusatrice il suo maestro è spesso sola, e spesso i genitori, sovente litiganti, non sanno dove sia. Perché la comunità è protetta da un silente patto dei lupi, nessuno è in pericolo se sono tutte belve, fino al primo errore. Allora l’equilibrio si rompe e la necessità di ricomporre l’ordine passa solo attraverso la violenza.
I gesti quotidiani perdono valenza, gli sguardi, gli umori, le intonazioni della voce cambiano di colpo il senso del loro esistere divenendo all’istante inconsapevole ammissione di colpa. La società non è più in grado di capire uno sguardo – guardami in fondo agli occhi, dice Lucas all’amico accusatore, per ricondurre la ragione verso l’umanità perduta – e la messa in scena cattura questi aspetti più sommessi, nascosti, per scaraventare sullo schermo la necessità dell’odio.
Rigoroso e geometrico nel mostrare la discesa nel maelstrom di Lucas messo di fronte all’impossibilità di provare il contrario di ciò che non è mai successo, Il sospetto è un grande film che gela il sangue nelle vene capace com’è di agganciare l’emotività dello spettatore inducendolo a immedesimarsi nel protagonista. Ogni inquadratura ha in sé una valenza più alta della narrazione stessa mostrando in profondità i segni latenti della violenza, segni che l’abitudine a quella violenza ha reso perfettamente mimetizzati con le consuetudini della vita quotidiana. E’ un film horror per certi versi, l’incubo, la violazione della casa, la comunità posseduta da un demone che accerchia l’ultima vittima. Vinterberg in una rarefatta atmosfera virata nei colori bluastri della morte mette in scena la possessione dell’animale sociale- uomo da parte di un ultracorpo che non lo abbandona più. Mai più.
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