Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Ho avuto l’impressione di assistere ad un film horror, tale era il disagio e lo stare sulle spine. Tolti l’introduzione ed il finale, lo spettatore soffre in maniera angosciante le disavventure del protagonista, innocente vittima di una calunnia aberrante. Non c’è il dubbio, come in una storia in cui si deve trovare il colpevole, poiché l’incolpevolezza di Lucas, insegnante licenziato e adesso assistente in un asilo, è subito chiarita dal regista all’inizio del film; per cui si assiste impotenti alla sua discesa psicologica e sociale con la voglia quasi di aiutarlo a venirne fuori.
I guai del povero Lucas nascono tutti dal fatto che una intera comunità, composta da persone molto amiche di questo bravo insegnate, credono alle affermazioni di una bambina dell’asilo, Klara, facendo quindi capovolgere i positivi giudizi che avevano prima verso di lui. Anzi, neanche la stretta amicizia di un amico d’infanzia serve da baluardo a sua difesa; solo un compagno lo aiuta e lo ospita e soprattutto si adopera per farlo venire fuori dallo scandalo. Ma davvero bisogna credere sempre ai bambini? In fondo le questioni che il regista di “Festen” pone sono due: se i bambini dicono sempre il vero e la fragilità dei rapporti umani in presenza di basse insinuazioni. A rovinare ulteriormente la situazione creata ci si mette anche una rigida direttrice dell’asilo e uno psicologo che commette l’errore più grave. Difatti la svolta decisiva a danno dell’insegnante è causata dal colloquio tra lo psicologo e la bambina, a cui non vengono fatte solo le domande per appurare la verità, ma vengono maldestramente suggerite e forzate le risposte, indirizzando quindi la direzione dell’asilo a denunciare l’accaduto-non-accaduto alla polizia.
Che siamo nella tranquilla e fredda Danimarca lo si capisce anche dalla reazione del protagonista che, sapendosi innocente, è fin dall’inizio fredda, sbalordita e non curante, ma non emotiva e reattiva come ci si potrebbe aspettare da un individuo dal carattere mediterraneo. Lucas continua la sua vita tranquilla convinto che l’equivoco sarà facilmente chiarito, lo conoscono bene nella cittadina, è stimato ed invece tutti, dall’amico più intimo (tra l’altro padre della bambina) ai commercianti della zona, lo ripudiano come una persona malata e indesiderata. Nella comunità, dedita alla caccia al cervo, dove si chiamano tutti per nome (nella trama non esiste un solo cognome) si scatena l’odio verso quell’uomo; invece in sala si crea in maniera inevitabile quella empatia spettatore/protagonista così come accade ne “Il Ladro” di Hitchcock dove un tranquillo Henry Fonda, pacifico ed anonimo suonatore di contrabbasso, si ritrova accusato ingiustamente di rapina. Lucas ha pure una travagliata storia matrimoniale sfociata nella separazione ed una gran voglia, ricambiata, di vivere con il proprio figlio adolescente che invece vive con la mamma.
Il regista ha sicuramente buone trovate nello sviluppo della trama, non ultima la scena finale dove, dopo un impensabile happy ending (impensabile perché la brutta avventura pare portare solo all’inferno), quando cioè lo spettatore sta per rilassarsi, ecco un colpo secco di fucile durante una battuta di caccia: è arrivata la condanna a morte? Andate a vederlo per scoprirlo, anche perché è un gran bel film.
Nulla da eccepire sul regista Vinterberg: perfetto. Ci si trova immersi facilmente nel paesaggio danese, nella loro mentalità, nelle loro abitudini; inquadrature ferme, recitazione secca e poco passionale (nordici!). Lontano dal dogma di Lars von Trier, sembra più vicino al maestro del thriller chiamato Hitchcock.
L’attore protagonista Mads Mikkelsen è straordinario: riesce a trasmettere il patema d’animo di una tale brutta situazione anche se con la freddezza e la rigida espressività tipica di un nordeuropeo. Lo spettatore soffre con lui. Risultato, miglior attore all’ultimo Festival di Cannes.
Discorso a parte va fatto alla bambina che impersona Klara: con le smorfiette con cui risponde sì o no ai grandi che la interrogano sembra la bambina malefica del cinema horror. E io continuo a chiedermi ancora una volta come fanno questi bambini a recitare così bene. Così naturali che sembra non recitino neanche, molto meglio di tanti adulti che, invece, “recitano” e si vede.
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