Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Come fu per Emily Watson (l’indimenticabile Bess McNeil de “Le Onde del Destino” di Von Trier), oggi tocca a Mads Mikkelsen (cui la palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes come miglior attore spero voglia giovargli per il definitivo lancio verso quel posto che merita nel mondo del cinema) e al suo Lucas il gravoso scontro contro il perbenismo borghese. Thomas Vinterberg come Lars Von Trier (i due “dogmisti” per eccellenza della prestigiosa ditta Zentropa) stritola abilmente l’anima candida nella morsa dell’ipocrisia e della morale spicciola, dell’etica a buon mercato e di largo consumo. Per tutto il primo tempo, Lucas è l’eroe positivo, il buono con cui identificarsi, il cittadino integerrimo, onesto e tutto-d’un-pezzo. E bastano pochi secondi di un’immatura e folle svista della piccola Klara (innocente davvero? Si apra il dibattito…), ferita nell’animo da ciò che della vita ancora non può conoscere, perché scatti la fatwa, l’irreversibile condanna che ostracizza il povero Lucas e lo condanna ad una vita d’inferno. Contrariamente a Bess, ragazza disagiata e fragile, Lucas è però forte nel corpo e nello spirito, e la sua battaglia non risparmierà colpi alla parte avversa, nonostante sia chiaro fin da subito chi sia destinato a soccombere. Forte come lui, Lucas ha nel figlio adolescente una spalla su cui poggiare, e nel padrino di suo figlio e nella famiglia di questo (unici a credere nella versione dei fatti fornita da Lucas) un’isola sulla quale trovare temporaneo rifugio ed aiuto, un polmone attraverso cui è concesso un po’ di respiro al povero spettatore angosciato, diversamente da quanto accadeva invece con Bess McNeil, la cui solitudine era totale ed assoluta in maniera asfissiante. Sostanzialmente, bisogna dire che Vinterberg non aggiunge nulla di nuovo, ma il suo lavoro, grazie anche ad un Mikkelsen strepitoso, è onesto ed impeccabile. E azzecca un ottimo finale che, se nel presentarsi con la fatale didascalia “Un anno dopo” dove tutto sembra svoltare verso una risoluzione quasi favolistica, fa storcere un po’ il naso a chi alle favole non crede (gli “zentropiani” come me sono sicuro tra questi), trova, nell’ultima, sfocata sequenza in controluce piazzata in extremis, un colpo d’artista davvero intelligente, come furono le campane che dall’alto dei cieli Bess suonò battenti per il suo Ian, che riporta tutto all’inizio, al titolo, a quel “Sospetto” che nessun angelo e nessun prodigio possono cancellare, spingendosi oltre al senso che diede Lars Von Trier (che scelse di chiudere i conti attraverso la morte) e scegliendo di reiterare il dramma in una spirale destinata evidentemente a non finire mai.
Un solo appunto negativo al film: ho atteso invano che i titoli di coda riportassero la classica dicitura “In questo film nessun animale è stato maltrattato”. Speriamo in una involontaria dimenticanza, e che eventualmente il dio dei cervi ci perdoni.
PS= speriamo presto in una visione in lingua originale, essendo il danese una delle lingue più strane, divertenti e cinematografiche che io conosca.
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