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Inheritance

Regia di Hiam Abbass vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Inheritance

di alan smithee
6 stelle

Presentato alla 69 Mostra veneziana nella sezione “Giornate degli autori”, il film corale, appassionato e, come emerge piuttosto a pelle durante la visione, molto sentito intimamente dalla sua autrice, rappresenta l’esordio nel lungometraggio della ormai nota e apprezzatissima attrice palestinese Hiam Abbas, nata in Israele e dunque molto sensibile alle insanabili problematiche causate dall’eterno conflitto socio-politico-religioso che divide due popoli e di conseguenza, generalizzando ed estendendo la contesa, i due emisferi mondiali, quello Occidentale e quello Orientale, da sempre strumentalmente in antitesi; un eterno conflitto quello mediorientale, che potrebbe essere risolto solo con la forza della saggezza e della tolleranza, evidentemente sopraffatti da interessi e calcoli ben più terreni e materiali. La Abbas sceglie di attribuire all’opera una struttura corale, non dissimile da certe felici situazioni che la vedevano spiccare tra i protagonisti dei suoi film più riusciti (ricordo solo per citarne alcuni Il giardino di limoni, Satin rouge, La sposa siriana, L’ospite inatteso): in particolare qui ci troviamo innanzi ad una riunione di famiglia che si tiene in occasione di una imminente festa di matrimonio, funestata - più che dal conflitto interminabile e senza tregua, al quale tuttavia la gente quasi si abitua e che ci viene mostrato solo di sfuggita o più che altro fatto sentire  tramite il roboante frastuono degli aerei militari - da mille problematiche, umane, caratteriali ed intime, che coinvolgono la famiglia dell’interessato: i crucci economici del padre della sposa, che orgogliosamente cerca di dribblare l’out out imposto dalle banche creditrici, ma nel contempo rifiuta per orgoglio di chiedere aiuto al ricco padre; le vicissitudini di Hajar, giovane ventenne sorella minore del primo, con velleità artistiche in corso di definizione, che progetta la fuga dai luoghi natii più come per allontanarsi da quel limbo insanguinato e per trovare la forma espressiva più adeguata con la quale manifestare il proprio talento, che per un sincero amore con il ragazzo inglese che frequenta segretamente ormai da tempo. Ma anche i tentativi di approccio di un ragazzo che lavora in un negozio e sogn l'America, che vorrebbe, non ricambiato se non solo da un sentimento di cortese amicizia, la bella Hajar tutta per lui, spalleggiato in questo suo proposito dal padre della ragazza, che intravede in lui il suo ideale fututo genero. A queste vicende trainanti si legano altre più lievi storie e situazioni familiari, spesso concatenate tra di loro, dalle quali emerge il lato più sentimentale, privato e talvolta buffo ed eccentrico dei singoli individui. Al momento cruciale della festa tutto trova uno sbocco e/o una fase risolutiva quando sul più bello il vecchio padre dei protagonisti cade improvvisamente in coma, proprio in occasione della tanto agognata celebrazione.

La Abbas dicevamo prima, prende spunto ed ispirazione con diligenza e voglia di dire tante cose serie anche sdrammatizzando, dai bei film impegnati che hanno contraddistinto la sua volitiva carriera internazionale, e anche il manifesto del film, bello e accattivante e simbolicamente naif, trae ispirazione, forse un po' spudoratamente, da opere famose ambientate proprio all’interno di quelle tormentate origini (mi vengono in mente ad esempio i film della Satrapi "Persepolis" e “Pollo alle Prugne); l’attrice sembra quindi aver imparato la lezione di alcuni suoi brillanti maestri, ma frulla un po’ troppo compulsivamente tutta una materia forse in preda ad un ansia narrativa che non riesce del tutto a governare, per mostrarci vicende che meriterebbero meno sfaccettature e più profondità e concentrazione; in questo modo ci troviamo talvolta a rischio di macchiettismo e semplificazione laddove le intenzioni dell’artista erano senz’altro del tutto profonde e motivatissime, sentite e sincere.

 

 

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