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Per il gusto di uccidere

Regia di Tonino Valerii vedi scheda film

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La recensione su Per il gusto di uccidere

di SamP21
7 stelle

La trama in breve:

 

Lanky Fellow è un bounty killer che campa tenendo d’occhio i trasporti di valori che viaggiano da una banca del West all’altra. A Omaha, il magnate minerario Collins gli propone di investire i diecimila dollari che ha appena guadagnato per assicurare un suo deposito d’oro nella banca locale.

 

Esordio di Valerii come regista e nel western all’italiana, per cui diventerà molto noto con “Il mio nome è nessuno”. Siamo nel 1966. Seguendo il solco dei due “Sergio” e alcune regole del genere, Valeri realizza però un film non privo di interesse e di una certa originalità.

 

Intanto è da notare come la visione venga spesso moltiplicata o ingrandita, sia attraverso un obbiettivo di un fucile che quello di uno specchio usati per spiare e anticipare le mosse del nemico di turno. L’aspetto della visione, che sarà poi cardine nel giallo all’italiana, era già presente nel western soprattutto in Corbucci, ma anche in Leone, e in questo caso. Spesso i protagonisti del genere si ritrovano a non vedere o avere problemi di visione (il caso di “Minnesto clay” è il più esplicito ed importante), o comunque si dà molto risalto ad una serie di modalità che amplifichino, modifichino o ingrandiscano la visione e le immagini.

 

La trama di per sé è abbastanza classica ma del resto, sia nel genere principale (americano) che nella versione nostrana, si effettuano spesso variazioni sul tema più che innovazioni particolari. Peraltro va ricordato che il film esce nello stesso anno di due capolavori che certamente apportano delle grandi variazioni, ovvero “Il buono, il brutto e il cattivo” (che di per sé devia, e non poco, dal genere) e “Django”. In comune con il primo film, questo di Valeri, da ricordare allievo di Leone, presenta anch’esso un ponte viene fatto saltare; sono certamente scene diverse e dall’impatto visivo ed emozionale molto lontano, ma l’allievo indubbiamente inseguiva il maestro. La scena del ponte del resto è un must del genere, ricordiamo quella per esempio de “Il mucchio selvaggio”.

 

Il protagonista del film, interpretato in maniera discreta da Craig Hill al primo “Spaghetti”, è un tipico personaggio senza molti scrupoli che, partendo da un’idea di vendetta, si è trasformato in un feroce ma astuto Bounty killer.

 

Come si diceva, la trama segue un percorso tipico del genere anche se con alcuni piccoli colpi di scena. Un segno distintivo è la cura nei dettagli: attori, location (la bella Almeria), azione, tempi, regia, è tutto ben fatto senza le cadute di stile o di idee di molti film italiani del genere.

 

È un ritratto di un mondo dove la vita ha poco valore se non quello di essere vendicata in caso di un familiare ucciso, dove l’unica ricerca è quella dell’oro e dei soldi, dove appunto si uccide quasi o solamente per gusto, o per tentare un riscatto, per sfuggire come i cattivi messicani (al solito).

 

Valerii dirige con fermezza, senza strafare, pur essendo esordiente sembra già avere tutte le carte per diventare un buon regista (e lo diventerà!); la scena dell’assalto alla banca è da ricordare per la bellezza dello scontro, per le uccisioni plurime, per la forza visiva. Lo scontro finale invece è semplice, quasi scarno visto gli usi del genere, con quel colpo però che va proprio a colpire il visore del fucile e poi l’occhio del bandito. Si torna così al ruolo dell’occhio e della visione, che qui viene annullata.

 

Un film semplice che segue le regole del genere, ormai ben precise e precisate in attesa di nuove variazioni (che arriveranno ancora nel triennio successivo), diretto con bravura e dove si procede per un percorso intuibile ma non scontato, dove l’azione è ben diretta; l’azione conta certo di più delle psicologie che anzi non interessano, si accenna soltanto e vagamente alle motivazioni, non c’è tempo per quelle, è tempo di un altro carico d’oro, di altri banditi da fermare o fregare, di altri soldi da guadagnare più o meno lecitamente, e il tutto ricomincia da capo.

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