Regia di Emanuele Cerman vedi scheda film
Le attenuanti del caso ci sono tutte: regista debuttante sotto l’ègida di Stefano Calvagna, dieci giorni di riprese, difficoltà economico-produttive di ogni tipo. Come ai bei tempi dei nostri artigiani di genere, quando Riccardo Freda girava i suoi gotici in una manciata di giorni, Cerman recupera la logica del risparmio, del sudore, del contesto estremo nel quale confezionare al meglio delle sue possibilità una pellicola il cui obiettivo è duplice: intrattenere e indurre a riflettere.
La storia - percorsa a ritroso in continui flashback che evitano momenti di prolungata stanca - è liberamente tratta dalla cronaca, con le Bestie di Satana (trasformate per l’occasione in Figli di Satana), i loro sanguinari, lisergici crimini e le indagini compiute a posteriori per incastrare quei giovani, strafatti assassini. Un poliziesco sociale in piena regola, giocato sulla contrapposizione tra sbirro scrupoloso e sbirro scettico e sulle crisi di coscienza di alcuni membri della setta, grimaldelli per le indagini e per il punto di vista spettatoriale. Ma le cadute, nonostante le attenuanti, sono davvero troppe: flashback seppiati, irruzioni musicali fuori luogo, atmosfere smaccatamente lynchane (con nani in camere scure tra l’onirico e il reale), unitamente a un finale improponibile e incoerente, fanno di In nomine Satan un apprezzabile tentativo scivolato nel dilettantismo. La colpa non è certo di Cerman e nemmeno di Calvagna, ma di un sistema che non ha più intenzione di concedere margini di manovra ad alternative di genere. Una brutta costante tutta italiana.
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