Regia di Valeria Golino vedi scheda film
Esordio nel lungometraggio per Valeria Golino che rientra a pieno titolo nel novero delle pellicole che nascono da una necessità di raccontare una storia e che, oltre ad avere una direttiva di base ben argomentata, riesce a dar vita, grazie anche alla presenza inafferrabile di Jasmine Trinca, ad un personaggio portante che già da solo varrebbe il prezzo del biglietto.
Irene (Jasmine Trinca), in arte Miele, per lavoro aiuta i malati terminali ad accorciare la propria agonia, grazie a farmaci che recupera dall’altra parte del mondo, ma anche con un supporto morale che non lascia niente al caso, a partire dalle scelte musicali.
A metterla in difficoltà ci pensa Grimaldi (Carlo Cecchi) che richiede i suoi servigi non perché malato nel fisico, ma perché stanco di vivere.
Irene è così obbligata a vedere le cose sotto un inedito punto di vista e non solo per quanto concerne il suo “paziente”.
Coraggioso debutto di Valeria Golino nel lungometraggio, sceglie un argomento decisamente forte e lo tratta con presa di coscienza, ma soprattutto cristallizza fin da subito il personaggio di Miele.
Una figura destinata ad entrare nella mente e nel cuore dello spettatore ed a rimanerci per tanto tempo, un vero e proprio “animale” cinematografico ed ancor prima umano che trova nella sempre più brava Jasmine Trinca una rappresentazione corporea e spirituale di insospettabile resa, quasi perfetta.
Dico quasi, perché, così come per il film, qualche incursione esterna al discorso principale, vedi il rapporto con Stefano (Vinicio Marchioni) è vero che sottolinea il carattere ed i sopravvenuti turbamenti di Irene, ma tende a perdere un po’ il controllo, soprattutto nella seconda parte.
Ma a fare da contraltare a qualche piccola sbavatura si erge il rapporto tra la protagonista ed il signor Grimaldi, con duetti tra Jasmine Trinca e Carlo Cecchi capaci di andare oltre.
In più si tratta di un’opera capace di andare oltre anche i semplici schematismi anche per l’utilizzo dei luoghi, tra un malinconico mare e le trasferte transoceaniche, tra le quali la primissima vanta una costruzione quasi perfetta per cadenza e precisione (anche a livello di regia, magari qualche vezzo sarà per “vanto”, ma per lo più si tratta di arricchimento).
Solo sul finale forse qualcosa funziona meno bene, per quanto poi l’ultima scena sia oltre modo evocativa e liberatoria, per una pellicola realmente sorprendente, capace di smarcarsi dal medio cinema italiano, ma anche dal nostro cinema d’autore più apprezzato.
Con vera anima e “vero cinema”.
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