Regia di Valeria Golino vedi scheda film
Arriva un ulteriore tassello sull’argomento che già precedenti illustri hanno preso in considerazione. Da Bella addormentata a Million dollar baby, da Mare dentro ad Amour e a Kill me please, il dilemma etico del fine vita non cessa di mostrare così tante sfumature e sfaccettature diverse una dall’altra. L’esordio in regia di Valeria Golino fa intravedere luci ed ombre su di un percorso che se avrà un suo seguito potrebbe rivelarsi interessante. La regista si esibisce con inquadrature, riprese e tagli d’immagine che dimostrano un’attenzione non scontata verso le tendenze del cinema contemporaneo, forse anche coltivata nelle sue precedenti esperienze come attrice. La protagonista, Irene, nome in codice Miele, aiuta malati terminali a raggiungere il traguardo finale su loro richiesta, fino a quando si imbatte nella figura dell’ingegnere Grimaldi, un paziente particolare. Attraverso il comportamento privato della protagonista che appare alquanto disomogeneo, la regista oltre che tenere costantemente agganciato lo spettatore al tema principale, offre una descrizione femminile mirata a tagliare i ponti con i caratteri più convenzionali della donna, in questo caso portatrice di morte, sentimentalmente assente, emancipata e competitivamente sullo stesso piano maschile. (Fra l’altro Golino maschilizza ulteriormente Miele, la brava J.Trinca, con il risultato di ottenerne una bellezza più interiore e misteriosa). La regista illustra con la freddezza necessaria la rappresentazione esteriore della cosiddetta procedura usata da Miele nei suoi costosi interventi d’aiuto, unendo in un unico sguardo complice una riflessione profondissima che tocca tutti coloro che ne sono coinvolti, parenti, malati, “operatori” e profittatori. La distanza alla quale viene tenuto lo spettatore permette l’osservazione senza pregiudizio alcuno, anche se l’asetticità del racconto non coinvolge quanto potrebbe. La regista però non rinuncia del tutto a chiedere conto del punto di vista esterno, quando mostra in una sequenza drammatica quello sguardo in macchina prolungato della protagonista che di colpo riporta a confrontarci con la realtà, con la verosimiglianza, stimolando una riflessione meno passiva nei confronti delle immagini. Come ogni esordio, nel film si riversa tanta materia che il “nuovo” regista ha accumulato dentro di sé ma in fase di elaborazione realizzativa non controlla ancora fino in fondo. Qualche estetismo di troppo, qualche inquadratura che sembra far parte di passaggi obbligati non fanno di Miele un film perfetto, anche se ogni volta che entra in scena la figura dell’ingegnere Grimaldi, un ottimo Carlo Cecchi, la vicenda sale sempre più di tono. Mentre il cambio di atteggiamento dell’uomo nei confronti di Miele è sostenibile e coerente fino alla fine, la trasformazione della giovane in Irene cioè verso sé stessa appare un po’ troppo fretttolosa e riconciliatrice con il personaggio, lasciando un po’ cadere quella forte contraddizione che va a minare il suo nuovo punto di vista dopo essere entrata in contatto con il Grimaldi rispetto alla sua attività illegale di cui si viene a sapere troppo poco. Comunque non stacchiamo la spina alla Golino, potrebbe crescere.
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