Regia di Hideki Takeuchi vedi scheda film
“Un film che ha incassato pochissimo”.
Potrebbe essere questa l’ironica frase di lancio del film. Metro indicatore di una qualità incompresa dai più, premiata da pochi, inusitatamente presente in un multisala ove l’alzo zero del senso cinematografico delle proposte estive massifica tutto in una poltiglia predigerita perfettamente accordata alla fruibilità standard delle partite mondiali che contemporaneamente scorrono liquide dai televisori e colano nelle bocche da bar. Fuori c’è caldo. Dio che caldo. Ma io ero l’eroe scampato alla calura estiva, raggomitolato nella sala vuota sferzata da un’aria condizionata assassina dopo aver superato agilmente l’imbarazzo del non sapere il latino e aver pronunciato alla immota cassiera dallo sguardo proiettato oltre la gabbia vetrata verso la chimera di una meta esotica, un italianissimo TERME ROMANE. Biglietto scontato, silenzio d’oltretomba nei corridoi, il puzzo dolciastro del pop corn riciclato ottusamente dai condizionatori. Un freddo bestia, punitivo, in una sala che la direzione avrebbe preferito veder vuota. Così impari, cinefilo.
Nell’antica Roma durante il regno di Adriano (153 dc), Lucius Modestus il famoso architetto delle terme romane ormai in crisi di idee, si infila in un buco spazio temprale presente nel fondo di una vasca termale e si trova proiettato in un bagno del Giappone contemporaneo. Da quel viaggio trae le idee moderne da applicare alle terme della sua Roma imperiale, appena tornato indietro. Tra un trasferimento e l’altro incontra una ragazza giapponese che lo segue nel passato e insieme, progettando delle terme curative sul fronte dove l’esercito romano sta combattendo, riescono a salvare l’Impero Romano dall’invasione nemica ottenendo il plauso dell’Imperatore Adriano. Tutti i personaggi, anche gli antichi romani, sono interpretati da attori giapponesi.
Mi immagino un soggetto del genere proposto ad un qualsiasi produttore di qualsiasi nazione che non sia il Giappone. Le risa. Le urla. I calci nel culo. Le porte che sbattono. Perché la seconda frase di lancio potrebbe essere “Un film che solo i giapponesi possono concepire”. E renderlo credibile, soprattutto.
A questo si aggiunga un trailer ambiguo che fa sembrare il tutto una commedia demenziale giapponese di un tizio che adora i cessi e vaga di era in era nudo come l’Imperatore l’ha fatto e tutto torna. Un film che ha incassato pochissimo. E come avrebbe potuto essere diversamente?
Therme Romae però, come spesso succede, non è ciò che ci si aspetta. Qualsiasi cosa ci si aspetti. Tratto dall’opera di Mari Yamazaki, un manga divulgativo sulle proprietà curative delle terme dell’antico impero romano, il film è un miscuglio di generi in equilibrio spericolato tra la l’opera didattica e l’epopea avventurosa che confida nella disarmata sospensione dell’incredulità dello spettatore. Il tasso di trash è ai livelli di guardia così da impastare senza il minimo timore l’aspetto che illustra la storia di Adriano e delle terme che fecero grandi Roma e il genere “sandaloni” in salsa sushi con sprazzi romantici trans temporali. Il tutto cucito dalla commedia innervata del più puro umorismo giapponese, surreale in quanto inserito in una realtà che già di suo di surreale ha molto. Figuriamoci per il prestante romano imperiale Lucius (Hiroshi Abe), sempre generosamente desnudo che si materializza nei gabinetti della locanda di Mami (Aya Ueto), disegnatrice di manga e ingenua sognatrice.
L’omaggio dichiarato è quello ai popoli della Roma imperiale e del Giappone, lontani tra loro nel tempo e nello spazio ma che più di altri hanno fatto del bagno, delle terme, il fulcro attorno al quale la società si è fondata ed evoluta. A distanza di secoli la necessità del bagno collettivo richiama un ideale di società pacifica, dedita alle arti e alla conoscenza. Le terme romane erano luogo di socializzazione, edifici pubblici dotati di biblioteche e spazi ricreativi. La dicotomia tra i due mondi (collegati dall’acqua, elemento vitale, atavico brodo generatore di vita e culla di civiltà) ispira sia il parallelismo tra le innovazioni di Lucius Modestus copiate dalle concezioni moderne del bagno nipponico, sia l’inevitabile umorismo che deriva dal confronto delle due dimensioni spazio/temporali. Attraverso l’acqua la cultura si trasmette nel tempo, forgia i popoli, ne disegna i contorni nella storia. Ma di questo si può anche ridere.
Dirige con piglio tra il serio e il faceto, Hideki Takeuchi alternando l’asettica e tecnologica realtà giapponese alla polposa grandeur della Roma classica, premiando con generosità le faraoniche scenografie utilizzate per il serial Roma, a Cinecittà. Si, Thermae Romae è girato in parte a Roma e immagino i commenti in borgataro arcaico dei rudi tecnici della città dei sogni nel vedere l’imperatore Adriano interpretato da un attore di nome Masachika Ichimura. Se la prima parte del film con l’atletico e nudo eroe che si produce in un carnet di facciotte stupefatte di fronte a orinatoi in ceramica, gabinetti hi-tech e docce, è divertente, con l’avanzare della storia si perde però un po’ di compattezza, il ritmo si dilata e alcune seriosità dettate dall’esigenza di informare il pubblico sulla storia (vera) dell’Imperatore Adriano sembrano non necessarie.
A questo si aggiunga poi lo svogliato doppiaggio italiano, basito dal doversi adagiare sull’ originale bisticcio lessicale del latino con accento di Tokyo che come sempre accade non aderisce quasi mai all’espressività orientale. Lo spaesamento verbale copia-incollato su una storia di gabinetti spazio temporali genera uno strano senso di disagio dal quale non ci si abitua mai. E questo è il limite vero di un film non perfetto ma tutto sommato gradevole e folle.
Thermae Romae rimane un divertissement estivo che vale la visione solo per poter dire ad amici cinematograficamente intontiti “ho visto un peplum giapponese che parla di cessi e dell’antica Roma”, registrare la loro faccia e passare al film successivo.
Che sarà Termae Romae 2. Già uscito e presentato in anteprima al Far East Festival 2014 di Udine, perché’ in patria il primo film ha avuto un successo incredibile. Le cronache del sifone non si fermano qui.
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