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La meute

Regia di Franck Richard vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su La meute

di alan smithee
8 stelle

"La muta”, nel senso del branco: non cani randagi o lupi, ma creature senza occhi, voraci e fameliche di sangue umano, che sbucano come zombie da un terreno avvelenato da sostanze nocive di una landa mitteleuropea sfruttata e violentata dal progresso e da smanie produttive e tecnologiche. Sono i “bambini”, cresciutelli e affamati, di una corpulenta barista che sceglie a scandaglio qualche cliente ogni tanto per sacrificarlo alla fame dei suoi adorati ed inquietanti pargoli. Ed è la fine che fa la sventurata  ma dinamica Charlotte che, ingannata  dal misterioso Max (rivelatosi l’unico figlio normale, almeno fisicamente, della donna) che tuttavia la salva da un gruppo di teppisti che la tallonavano in moto,  finisce per condurla dalla padella alla brace, ovvero “in pasto” ai folli piani della energica madre. Horror belga truculento ed efficacemente ambientato tra le fosche vallate un tempo rurali, oggi industriali e avvelenate da interventi indiscriminati e senza scrupoli, l’opera prima di Franck Richard risulterebbe risibile e una banale accozzaglia di déjà vu che non vanno al di là di un efficace e cupo contorno scenografico. Ma la presenza della “colossale” (in diverse accezioni) Yolande Moreau, che campeggia fiera nel bellissimo manifesto del film, seduta con in braccio il fucile in attesa che le sue creature risorgano dalla terra inzuppata di sangue, risulta come l’elemento discriminante in grado di elevare l’horror a livelli di notevole interesse, rendendolo una risposta appropriata, europea e un po’ tardiva, agli americani “Non aprite quella porta” ed affini, o almeno ai suoi recenti remake. Dagli occhi piccolini ma intensi ed appuntiti di Yolande sprizza quel fiume incontenibile di follia che ha già diverse volte reso grande una delle più interessanti attrici del panorama europeo. Completano il buon cast una insolitamente energica Emilie Dequenne ex "Violetta" e Palma d'oro dei Dardenne, Il sempre inquietante Philippe Nahon visto di recente nell’ottimo ed altrettanto sadico, xpregiudicato e belga "Au nom du fils” di Vincent Lannoo (che bravi sti belgi, matti da legare ma notevolissimi!!!), e il valido Benjamin Biolay, notato tra gli altri in Stella e Quando meno te lo aspetti.

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