Regia di Erik Bernasconi vedi scheda film
Ha il titolo di una figura retorica, l’esordio del ticinese Bernasconi premiato in patria e lì rimasto 3 anni. La letteratura è fuga e approdo nell’opera del giovane autore, che divide in 4 capitoli una storia semplice, svincolata da pretese sproporzionate ma non ancora libera dall’ansia del “tutto torna”. Alessio Boni ama Melanie Winiger ma è sposato con Giorgia Wurth, e quando decide di lasciarla fa un incidente stradale con l’amante. Lui ne esce paraplegico, lei privata di quel cortocircuito sensoriale che ti porta ad associare l’angoscia a un’alga nera e in psicologia si chiama come la figura retorica. Le cose si mettono a posto, temporaneamente perché il destino scombina le carte e gioca con quelle rosse dei cioccolatini facendole sfrigolare come increspature sanguinolente. Ogni personaggio ha un segmento narrativo dedicato, dove il punto di vista flirta con un genere senza chiudersi dietro la porta degli altri: alla Wurth appartiene il thrilling con derive grottesche (è assillata da sms sonori, stile countdown di The Ring con voce baritonale), a Boni il climax drammatico che si apre come road trip nostalgico col migliore amico (ed è più incisivo del disperato notturno solitario che segue). La parte migliore tocca proprio all’amico Leonardo Nigro, schietto depositario della commedia dove il fato rompe le maniglie dei bagni e fa entrare il racconto - raccontato - del Novellino, sciogliendo l’esattezza di un film che vorrebbe ingannare la teoria sparigliando la cronologia. Quando Nigro chiede più «sano disordine», siamo con lui.
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