Regia di Mikio Naruse vedi scheda film
Tra gli esiti più compiuti e famosi della filmografia muta di Naruse, spicca con convinzione questo Not Blood Relations, storia di un'attrice giapponese, Tamae, che, fatta fortuna a Hollywood, torna in patria per riprendersi la figlioletta avuta anni prima da un uomo nel frattempo risposatosi. La bambina però crede che la matrigna sia in verità la madre naturale e quest'ultima non è disposta ad abbandonare la figliastra per nessuna ragione, nonostante il potere econimo di Tamae, che per giunta può contare anche sull'aiuto di un fratello gangster.
Sceneggiato da Kogo Noda, fidato collaboratore di Ozu, ed edito recentemente da Criterion, il film rappresenta un cardine imprescindibile nella storia del cinema muto giapponese, la cui stragrande maggioranza della (fertilissima) produzione è andata perduta.
Considerato uno dei principali aedi della classe operaia e dei ceti più poveri del suo paese, Naruse è in verità ben più di un semplice osservatore. I suoi film vanno assai oltre la mimesi sociale ma, oltrepassando la presa di coscienza "neorealista" della "realtà dei fatti", diventano un'analisi spietata delle leggi economiche che dominano i rapporti tra gli individui, schiacciando persino i legami affettivi. Il meccanismo di Not Blood Relations è in questo molto più complesso e stratificato di parecchie sue opere sonore: nonostante il rapporto tra la matrigna Masako e la piccola Shigeko sia orfano per l'appunto di qualsivoglia "legame di sangue", rappresenta in verità una vera e propria relazione che supera, trascendendolo, l'inevitabile fatalismo della nascita. E Tamae, sebbene sia la madre "naturale" di Shigeko, è una presenza "estranea" avvantaggiata dalla forza del capitale (fin troppo facile e quindi non del tutto corretto pensare al riferimento a Hollywood e quindi al mondo occidentale). Come in molta parte della sua filmografia (vedi su tutti Gli ultimi crisantemi), il denaro è spesso il motore - più o meno (im)mobole, più o meno occulto - della vicenda. E la povertà non è elegiacamente il luogo dove le debolezze finanziarie vengono superate dalla fratellanza e dall'unione, ma l'ennesimo rifugio della gretezza e della meschinità. Certo, in Naruse la donna ha spesso un ruolo centrale e vien da dire, banalmente, positivo (vedi Okasan), ma non mancheranno personaggi femminili assai più complessi e contraddittori (Fluttuare, Gli ultimi crisantemi, Older Brother, Younger Sister).
Ulteriore elemento di stupore in Not Blood Relations è lo stile: non sempre, anche nelle sue opere della maturità, il controllo e le invenzioni formali di Naruse avranno la stessa polimorfa intensità. Le avviluppanti carrellate controlatissime e studiate nel più piccolo incedere fanno pensare a Mizoguchi; la composizione dell'inquadratura ricorda invece da vicino Kinoshita. Tutte insieme non possono che riportare alla mente il suo capolavoro di una ventina d'anni dopo, Floating Clouds, sicuramente il film di Naruse formalmente più brillante e struggente.
Non solo: l'uso del campo e controcampo tradizionale (che sarà il marchio di fabbrica della sua produzione) raggunge qui una sua "nuova" intensità con il ricorso straordinario al dolly in avvicinamento. E alcune sequenze ricordano, casualmente, due titoli angolari nella nostra filmografia: il ritorno di Tamae riporta alla mente l'epifania di Anita Ekberg ne La dolce vita, la corsa di Masako dietro un'automobile la celeberrima corsa di Anna Magnani dietro la camionetta di Roma città aperta. Una nota fortuita, certamente, ma che ben lascia intendere l'importanza di una filmografia - come quella giappoese tra gli anni '30 e '50 - che avrebbe regalato al cinema tanti capolavori immortali.
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