Regia di Rolando Ravello vedi scheda film
La disperazione è non trovare posto. Mancare di quel bene irrinunciabile che è lo spazio vitale, in cui trovare riposo e rifugio e coltivare la propria intimità. La casa è il nido familiare, il focolare che protegge ed emana calore, ma è anche una metafora della libertà di pensiero, di quel luogo interiore che si sottrae agli sguardi indiscreti ed alle regole della società, per diventare il teatro delle nostre espressioni più spontanee ed incondizionate. I protagonisti di questa storia italiana dei giorni nostri perdono, da un momento all’altro, il loro appartamento, con tutto ciò che esso contiene. Una coppia di coniugi, con due figli ed il nonno di lui, rientrando da una cerimonia, si accorge che durante la loro assenza per una cerimonia, la loro dimora, situata dentro un casermone di periferia, è stata occupata da alcuni estranei. Non possono far valere i propri diritti in sede legale, perché, come solo allora scoprono, loro stessi, per tanti anni, ne avevano usufruito abusivamente, pagando l’affitto ad un tale che non ne era il vero proprietario. Il film di Rolando Ravello descrive il loro calvario per riappropriarsi della casa, che è un precorso di precarietà, segnato dai problemi di convivenza, dall’intolleranza, dalla tentazione del crimine, e dunque da tutti i mali che affliggono le fasce marginali della popolazione delle nostre città. In una realtà disagiata, attraversata dal multiculturalismo e dunque sradicata dalle proprie origini, il realismo non può che assumere la veste ironica di una sconclusionata provocazione, che si annida nelle fessure della sua sostanza disgregata, per evidenziarne il carattere disomogeneo, scisso, contradditorio. Gli sfrattati decideranno di sistemarsi sul pianerottolo dello stabile, occupando il primo spazio disponibile, proprio accanto a quello che è stato loro sottratto. L’arte di arrangiarsi si fonde con la protesta, la lotta per la sopravvivenza si trasforma in una rivendicazione di dignità in cui le vittime mettono in piazza le loro difficoltà, estreme ed inconcepibili esattamente come le assurdità del sistema che le ha provocate. I figli di nessuno diventano qualcuno facendo della loro presenza un intralcio, un pugno in un occhio, un plateale fastidio che è l’unico modo possibile per esercitare un qualche potere. Allora gli ultimi possono suscitare repulsione o simpatia, me non possono essere ignorati. L’emergenza è una situazione indisciplinata, in cui tutto è possibile, ogni cosa e il suo contrario. Può far scattare la solidarietà – come avviene per la mamma egiziana che offre ospitalità al piccolo Lorenzo, tremante per la febbre – oppure varie forme di giustizia privata – come accade ai danni dei nomadi, il cui campo viene incendiato. In simili circostanze affiorano, in maniera per lo più imprevedibile, nuove complicità e rivalità, ridisegnando la geografia dei rapporti umani. È questo il senso di Tutti contro tutti, che non vuole essere un invito alla diffidenza in nome dell’homo homini lupus, ma più che altro un monito contro un impazzimento generale che, per servire l’egoismo ed i particolarismi più disparati, e trincerandosi dietro la paura del diverso, semina il caos, la violenza, l’emarginazione.
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