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Pelle di serpente

Regia di Sidney Lumet vedi scheda film

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La recensione su Pelle di serpente

di (spopola) 1726792
6 stelle

Pelle di serpente (ovvero The Fuggitive Kind che è il titolo originale, o meglio ancora  Orpheus Descendnig, che è poi quello dell’omonimo dramma teatrale che l’autore assicurò essere stato scritto appositamente per Brando e la Magnani) conferma e amplifica le ambizioni tragiche  e il pesante, “morboso” intellettualismo dell’opera teatrale di Tennessee Williams, che il regista Sidney Lumet ha dignitosamente (ma senza poi andare molto oltre) trasferito sullo schermo (utilizzando una sceneggiatura scritta dallo stesso Williams con la collaborazione di Meade Roberts), conservandone gli effetti  (anzi sottolineando fortemente gli aspetti più biechi della vicenda) e il sapore letterario di una scrittura spesso esornativa e sopra le righe come quella del drammaturgo americano. Ci sono in pratica pochi dubbi sul fatto che si tratti di una trasposizione in immagini di un testo di origine teatrale, perché a tale natura purtroppo resta vincolata la rappresentazione, nonostante alcune incursioni verso l’esterno, insufficienti però a dinamicizzare l’azione, così come era invece accaduto con magnifico senso del ritmo e splendidi risultati figurativi pur rimanendo praticamente vincolato alle dimensioni contenute di un unico ambiente o poco più, al Kazan di Un tram che si chiama desiderio.
Interpretato da un eccezionale parterre di attori, soprattutto sulla carta (perché nella sostanza i risultati sono poi abbastanza disomogenei nel loro insieme, e in qualche momento addirittura stridenti), e non parlo solo del tris dei protagonisti: Brando, la Magnani e la Woodward che fra tutti è certo quella che se la cava meglio, ma anche del superbo contorno formato da Victor Jory, R.G. Armstrong e soprattutto dalla trepida, dolorante e visionaria Maureen Stampleton, il film ha una carica drammatica violentissima, quasi insostenibile, raggiungendo risultati di alta  emotività  nella rappresentazione di un ambiente e un’atmosfera – quella del profondo sud tanto caro al drammaturgo – sempre più gravidi di angoscia e di morte, ma uno scarso appeal emozionale nonostante la tragica fatalità vendicativa della conclusione, in relazione alle vicende narrate.
Al di là dell’evidente compiacimento per tutto ciò che è perverso, corrotto, morboso e lugubre,  Pelle di serpente offre in ogni caso un’interessante e impressionante testimonianza dell’inerte disperazione cui si sono abbandonati nella seconda metà del secolo scorso (alcuni continuano a farlo anche nel presente), molti intellettuali americani, capaci solo di analizzare con estrema lucidità e anche con molta acutezza, le gravissime piaghe  morali e sociali del loro paese, di stigmatizzarne la drammaticità delle conseguenze,  ma incapaci non solo di  individuare un possibile antidoto a quelle derive, ma anche di indicare un  ipotetico appiglio (valore) al quale potersi aggrappare, nel generale naufragio (in Williams portato quasi sempre alle estreme conseguenze) di tutti gli ideali di cui si sentono – e probabilmente lo sono davvero – vittime a loro modo “innocenti”.
E non giova certo poi in questa circostanza  la claustrofobica delimitazione  dentro uno spazio  tanto limitato e chiuso di quasi tutte le azioni,  che porta spesso al violento scontro in un serrato “corpo a corpo”  non solo verbale, degli interpreti (sembra per altro che Lumet abbia sudato davvero le proverbiali sette camicie per riuscire a contenerne e dirimere gli eccessi e le “incompatibilità caratteriali” che determinarono sul set reali contrapposizioni altrettanto feroci e aggressive).
Come tutto il teatro di Williams, l’azione è densissima di eventi, ma in questa che non può essere certo annoverata fra le sue più riuscite “tragedie”,  risulta singolarmente molto debole la definizione dei caratteri dei personaggi, come sempre emblematici, ma portatori di una troppo marcata matrice letteraria che si rifà con eccessiva evidenza  al “mito”, ma senza definire “esattamente” i paralleli con la contemporaneità di ciò che ci viene in effetti narrato, così che alla fine la cupa moralità del film risulta soprattutto  racchiusa (e circoscritta) più che nei fatti, nella valenza fortemente simbolica dell’uccello senza zampe, che rimane vivo  fin quando riesce a restare nel cielo, a volare in alto, lontano dalla terra fangosa e immonda, perchè quando la stanchezza lo costringe  a planare al suolo, non ha alcuna speranza di salvezza: lì lo attende soltanto la morte.
Siamo, come è chiaro ed evidente, al limite estremo dell’anarchia individualista, che riaffermando  la proprio purezza, finisce in pratica  per negare anche se stessa, insieme al ferino mondo al quale si ribella, e il concetto è certamente molto intrigante. E’ semmai la sua  esplicazione (cinematografica  e letteraria) a non risultare del tutto convincente, anche perché rapportata a una storia certamente emblematica, ma non priva di improbabili fortissime  “forzature” dinamiche,  che narra la storia di Val Xavier vagabondo suonatore di chitarra che, perseguitato da una un po’ sciroccata vamp locale, con indosso la sua giacca fatta di pelle di serpente (destinata, per la sua particolare “unicità” a molteplici citazioni, come quella di Lynch in Cuore selvaggio) e strumento al seguito, si ferma in una  cittadina del sud per trovare lavoro. Lì incontrerà una donna più anziana  di lui oppressa da un marito malato e geloso, con la quale inizierà una relazione sentimentale destinata a deflagrare nella tragedia.
Passioni e drammi spinti alle più estreme conseguenze, dunque in questo film di attori “al servizio” della parola, o meglio della poesia un po’ malsana di un Williams  non sempre perfettamente bilanciato e al massimo dell’ispirazione.
Forse un Lumet più maturo (qui era ancora alle prime armi, e seppure già reduce dall’importante prova offerta con La parola ai giurati, non aveva ancora del tutto affinato una sufficiente esperienza per dominare completamente una materia  magmatica e un po’ putrescente di siffatta natura) sarebbe riuscito a raggiungere risultati complessivamente più convincenti anche sotto il versante della omogeneità della recitazione, poiché singolarmente è difficile immaginare chi sia più bravo fra Brando e la Magnani, solo che ognuno recita “a suo modo” e manca di conseguenza l’amalgama empatico che avrebbe reso stratosferico lo scontro, così che appunto proprio la Woodward, cavallo non certamente di razza inferiore, regge meglio di loro il confronto e l’improbo peso di una prestazione davvero molto faticosa e sofferta. Se ci si limita comunque ad osservare la messa in scena, possiamo  trovare momenti che se isolati dal contesto, sono già sinonimo di pregevole perfezione, come quello bellissimo dell’iniziale interrogatorio, realizzato in perfetto stile Rashomoniano.

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Ultimi commenti

  1. Utente rimosso (Marcello Del Cam
    di Utente rimosso (Marcello Del Cam

    E' il Lumet che non mi piace, peggio farà in "Uno sguardo dal ponte", ma, hai ragione, Brando e Magnani, pure non trovandosi a proprio agio, valgono la visione del film. La stessa sensazione ho avuto con "La rosa tatuata" di Daniel Mann, ma lì la Magnani è una gigantessa che fa rigare dritto il muscolare Burt Lancaster. Di "Uno sguardo dal ponte", dove sembrano tutti fuori ruolo, mi è rimasta impressa la canzone cantata da Jean Sorel. Vallone mi è sempre dispiaciuto, in quel film era già "il raguseo" televisivo di qualche anno dopo, recitazione monotona. Ti ricordi qual era la canzone? ciao .

  2. (spopola) 1726792
    di (spopola) 1726792

    No Lorenzo, non la ricordo (anche io non ho mai molto amato Uno sguardo dal ponte e il film non l'ho più rivisto da quei tempi lontani in cui fu programmato in sala). Mi è rimasta più stampigliata nella memoria la versione teatrale con la regia di Visconti che ho visto da adolescente praticamente: mi colpì molto la veridicità della messa in scena e soprattutto gli attori... ma lì c'era Paolo Stoppa, la Morelli, Fantoni, Pani e la Occhini.....

  3. kotrab
    di kotrab

    Caro Valerio, mi dispiace ma stavolta non sono per niente d'accordo con te. Ho appena visto il film e mi ha sedotto dall'inizio alla fine: non conosco il dramma originale ma l'autore mi attira parecchio (ho un libro sul suo teatro e lo leggerò al più presto), la messinscena è eccellente, essenziale e sontuosa allo stesso stesso tempo nei movimenti di macchina, gli ambienti, le immagini. Gli attori li trovo fantastici tutti. Insomma difetti io proprio non ne vedo! Non sarà tra i miei preferiti in assoluto, ma è incandescente e commovente, fortemente emotivo da far salire la rabbia davvero. Ciao!

    1. (spopola) 1726792
      di (spopola) 1726792

      Non mi sembra comunque di averne parlato così male. In fondo gli ho assegnato un'ampia sufficienza (quella delle tre stelle che con le nuove regole di adesso avrebbero potuto arrivare anche a 3 stelle e mezzo ma non amo aggiornare i miei voti se non quando una nuova visione mi induce a prendere in considerazione qualche nuovo elemento che non avevo colto - o mi era sfuggito - nel passato. Posso comunque capire quali sono le ragioni che hanno suscitato il tuo entusiasmo. Gli attori - presi singolarmente - sono tutti bravi (questo l'ho detto anche io). Difficile stabilire chi è il migliore fra Brando e la Magnani presi al di fuori del contesto ma il problema (che per me rimane centrale) è che manca l'amalgama perchè ciascuno recita "a suo modo" e questo ha creato in me più di una frizione. Personalmente poi non mi sembra che il dramma non sia da annoverarsi fra le cose migliori scritte da Williams che qui con la sua "poesia fangosa"(la definizione non è mia ma del Morandini) rischia di sfiorare la maniera. Insomma io qualche difettuccio ce l'ho trovato (anche nella regia del giovane Lume), ma rispetto ovvisamnete il tuo giudizio fortemente positivo anzi mi fa molto piacere che a te sia piaciuto così tantoanche perchè il tuo giudizio positivo si riferisce a un film che fu a suo tempo molto bistrattato (ed è ancora molto criticato). Buon fine settimana carissimo e... spero tutto bene.

    2. kotrab
      di kotrab

      Bene del tutto no, come tutti. Mi devo accontentare. Almeno niente casi di malattia per ora. Tornando al film, non capisco bene cosa intendi quando dici che non c'è amalgama. Oppure diciamo pure che a me sembra più in linea proprio con il forte contrasto e la netta evidenziazione dei personaggi, che altrimenti mi sarebbero parsi meno accattivanti, non so se mi spiego. Certi momenti poi nei dialoghi sono davvero molto forti e direi sconcertanti per l'epoca, oltre alla forte carica erotica senza vedere esplicitamente praticamente nulla, anzi, intravedendo e intuendo soltanto. Mi sorprende pure che non sia stato edulcorato per come è (ma non so se poi effettivamente sia già stato modificato o meno, non mi pare).

    3. (spopola) 1726792
      di (spopola) 1726792

      Interndo che ognuno va per la sua strada e che le ottime recitazioni sia della Magnani che di Brando non sono per niente compatibili . Come al solito comunque si tratta di punti di vista diversi (ma io rimangoi fermo nella mia opinione). Non non mi risulta che ci siano stati interventi censori (ebbe solo un percorso molto travagliato e qui da noi nonostante ilk cast stratosferico, fu fatto circolare poco e mae: non convinse quasi tutta la critica e anche il pubblico disertò le sale dove fece una fugace apparizione ,

  4. claudio1959
    di claudio1959

    Visto da destra visto da sinistra importante è vedere i film divulgarli e parlarne, io la penso in questo caso come Kotrab e ne ho scritto, però ripeto amare il cinema cime noi.

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