Regia di Enrique Urbizu vedi scheda film
Un poliziotto Rambo che può suscitare tenerezza. Questo film, vincitore del Premio Goya per il miglior film ed in altre cinque categorie, commuove noi, spettatori al di qua dei Pirenei, quando ci accorgiamo del motivo per il quale è tanto piaciuto ai nostri cugini spagnoli. La solitaria impresa dell’ispettore Santos Trinidad è il rimedio, ingenuo ed avventuroso, ad un dolore improvviso che ha sconvolto un intero Paese. In quel giustiziere, incarnazione di un eroismo di altri tempi, si scorge la reazione popolare all’inettitudine dimostrata dalle istituzioni nei confronti delle nuove minacce incombenti sulla nostra civiltà. Il mondo ha quasi del tutto dimenticato un evento che, invece, è rimasto profondamente impresso nell’animo della nazione che ne è stata colpita. In questo film, che è un monito ed un tributo alla memoria di un grande lutto e di una smisurata colpa, è meglio non cercare l’emozione dell’action movie o la tensione della detective story, anche se la storia attinge abbondantemente ad entrambi i generi. Il racconto scorre lento e placido come una riflessione: le ombre del giallo sono soltanto i segnaposto degli errori di cui è cosparso quel funesto percorso investigativo che il film si propone di ricostruire, presentandone una possibile alternativa, dall’esito ben più felice. Questa arrancante ricerca dei perché di una tragedia è la sostanza, rarefatta, uniforme e forse insipida per i palati stranieri, che riempie lo spazio di un’attesa: un intervallo di vuoto che separa nel tempo - ma collega logicamente - gli unici due momenti veramente intensi, carichi di rabbia e violenza, posti all’inizio e alla fine del film. Nella figura del protagonista, artefice di quella che sembra una vendetta ed invece è un’azione preventiva, si recupera il cavalleresco valore del coraggio, che prescinde dalla legge scritta nei codici e punta dritto alla difesa degli innocenti: è la provocatoria idea di una barbarie a fin di bene, moralmente contraddittoria, alla quale però la mente istintivamente vola di fronte a certi orrori. Ad essa fa da contraltare il suo corrispettivo femminile, che è determinazione nell’accertamento della verità, e spinge ad andare fino in fondo nell’analisi dei fatti, seguendo un pragmatismo che aderisce alla realtà senza accettarne i compromessi. La giudice Chacón rappresenta questa forza dal tono incisivo, ma sempre contenuto, che prende di petto gli ostacoli, ma rifugge la spettacolarità. Non ci sarà pace per i malvagi è un titolo indicativamente altisonante per un’opera che impugna la retorica per esorcizzare il senso di impotenza e che, se manca di inventiva, in compenso può esibire, fieramente, la passione e la coerenza di chi non si arrende.
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