Regia di Jonathan Dayton, Valerie Faris vedi scheda film
Mai (o quasi) fidarsi dei film che parlano di uno scrittore, di uno sceneggiatore o di un regista in crisi (basti pensare a L'abbuffata di Calopresti, Boris il film, Il regista di matrimoni, La passione, Secret window, Wonder boys e La dea del successo): quasi sempre sono il trucco per uscire davvero dall'impaccio della creazione e il risultato si vede tutto. Non fa eccezione l'opera seconda di Jonathan Dayton e Valerie Faris, già autori del godibile Little Miss Sunshine - tratto da una fiacca sceneggiatura della coprotagonista Zoe Kazan (nipote del regista Elia) - che qui affidano a Paul Dano il ruolo di protagonista dopo avergli dato quello di un eccentrico adolescente nel film precedente. Il ragazzo, che al computer preferisce una vecchia macchina per scrivere, ha avuto fortuna con un primo romanzo ma non riesce più a ingranare. I fogli rimangono bianchi finché non gli si presenta, in carne (poca) e ossa (molte) la stessa protagonista dei suoi racconti (Zoe Kazan, appunto, sua compagna anche nella vita). Sarà un'allucinazione? Macché: pare che anche gli altri vedano la ragazza. C'è però un problema: la creatura è tutta sua e, di conseguenza, lui può farle fare ciò che vuole. Il film non è ambientato ad Arcore né a Palazzo Grazioli e quindi il ragazzo si accontenta di far parlare la sua fidanzata in francese e poco più. Ma alla lunga il gioco diventa noioso…
Epigono di film come Harvey, Ruby Sparks gioca sul tema dell'amico immaginario e sull'antinomia junghiana tra amore e potere, mantenendosi sempre sul filo del paradosso. Ci aggiunge l'idea della creatura inventata che si ribella - come già si era visto nel sordiano Io e Caterina - ma finisce col girare sempre intorno alla stessa solfa, senza guizzi e con divagazioni narrative tanto inutili quanto imbarazzanti, a cominciare dall'incontro tra nuora e suocera alternativa (Bening). Magari con il terzo film si riuscirà a capire se Little Miss Sunshine sia stato o meno un incidente di percorso.
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