Regia di Sergey Bodrov vedi scheda film
Al cinema, il fantasy fa più morti di un’epidemia. Il signore degli anelli ha fatto da spartiacque: prima che Peter Jackson s’imbarcasse nella missione del secolo, il fantasy contava come un due di bastoni a briscola, dopo il suo enorme successo, in tanti han provato a cavalcarne l’onda.
Da qui, è partito uno sterminio, anche economico, nel quale rientra Il settimo figlio, nonostante possegga delle doti (non nevralgiche), in prevalenza derivate dall’imponenza di una produzione, che è comunque scivolata sulle bucce di banana più visibili, che di nome fanno epica e passione, mitigate quando non quasi del tutto assenti.
In un mondo fuori dal tempo, il mago Gregory (Jeff Bridges) è l’unico in grado di fermare la strega Malkin (Julianne Moore) e le sue ambizioni di far cadere la Terra nell’oscurità perenne.
Per fermarla, si affida a un aiutante (Ben Barnes) che può sviluppare enormi potenzialità ma che si trova in una posizione scomoda, essendosi innamorato di una strega (Alicia Vikander), estremamente vicina a Malkin, mentre quest’ultima sta raggruppando intorno a sé tutte le forze delle tenebre.
Ogni tanto è lecito porsi delle domande. Quale produzione potrebbe immettere tante risorse (è costato quasi cento milioni di dollari) in un film senza possedere tra le mani uno spartito adeguato?
Già, Il settimo figlio è un’operazione ambiziosa, raggruppa nomi da pelle d’oca ma poi arriva a stento ai novanta minuti di durata, senza riuscire mai ad accendere il fuoco sacro della compartecipazione, arrivando giusto a ottenere la minima assuefazione visiva, denotando piedi d’argilla.
Intendiamoci, meglio di niente, e di molti competitor, invero talmente inetti da rendere il paragone non esaustivo, ma è realmente stridente pensare che si possano immettere tanti denari pensando a uno sfruttamento pluriennale, si parla(va) di una serie di film, senza contemplare fondamenta solide.
Da questa considerazione primaria, la sceneggiatura, scritta a otto mani, discredita nomi importanti come quello di Steven Knight (Locke) e Charles Leavitt (Verso il sole), sostanzialmente racchiusa in se stessa e dall’evoluzione fin troppo standardizzata e senza sbocchi, con una scarsa volontà di redigere un racconto appassionante e falle descrittive concernenti l’evoluzione dei vari personaggi (soprattutto per quanto riguarda il signor nessuno che diventa eroe).
Trattasi di un peccato capitale e depauperante, dato che, per il resto, Sergey Bodrov appena può si fa notare alla regia (mobile ma senza eccessi cinetici), Marco Beltrami intona una colonna sonora efficace, John Dykstra è tra i massimi esperti in fatto di effetti speciali (Guerre stellari vi basta?) e Dante Ferretti alla scenografia garantisce il massimo lavoro artigianale, limitando l’ammorbamento imposto dalle ricostruzioni digitali.
In più, potremmo aggiungere la presenza di due nomi sacri, quali sono Jeff Bridges e Julianne Moore, il primo chiamato a strafare, riuscendoci pure discretamente bene (in fondo, è un Galdalf accidentato), la seconda in versione pittoresca, mentre Ben Barnes è, come spesso gli accade, sfortunato, pur non sfigurando, e la bellezza di Alicia Vikander è più che altro di comodo.
Dopo averne parlato male, seppur con distinguo, va detto che nel suo piccolo è anche abbastanza funzionale: Sergey Bodrov segue la prassi ma non perde tempo, gli effetti speciali fanno il lavoro sporco, alcune scene d’azione sono ben orchestrate e un filo di umorismo non guasta affatto, ma poi è inevitabile ritornare all’assenza (ingiustificata) dell’epica e i vari ingredienti - le discendenze, gli interessi, i giovani e gli adulti, i maghi contro le streghe - costituiscono un panorama dove gli incubi diventano realtà, senza però avere il tempo necessario per maturare, con il principio di coerenza messo a repentaglio da troppe leggerezze, fino a sfociare nell’inevitabile royal rumble finale. Per dirla tutta, gli extra presenti sul bluray lasciano intendere sviluppi maggiori, ma nessuna possibile differenza sostanziale, per un titolo che nella sua meccanicità avrà pure un senso, ma comunque circoscritto.
La trippa rimane quindi poca, il cabotaggio medio (basso), lo sguardo rivolto su una distanza che probabilmente non verrà colmata (il flop non credo permetterà ulteriori capitoli), con tante qualità tecniche e umane che non possono coprire completamente limiti strutturali piuttosto evidenti.
Una pentola senza coperchio, usata per cucinare un piatto dal sapore incerto.
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