Regia di Ernst Lubitsch vedi scheda film
Una ragazza scapestrata ama bere, fumare e giocare a carte, suscitando la disperazione dello zio e della governante con cui vive. Quando lo zio va fuori città per affari per qualche giorno, la giovane viene tenuta sotto controllo da un tutore; cosa che non le impedisce, una volta vestitasi da uomo, di uscire lo stesso di casa e darsi alla pazza gioia. E incontrare pure il tutore, senza farsi riconoscere da lui.
Pinkus l’emporio della scarpa (1916) aveva segnato un duplice esordio per Ossi Oswalda: quello come attrice, appena diciannovenne, e quello della collaborazione con Ernst Lubitsch. Anch’egli alle prime armi dietro la macchina da presa, rivorrà di seguito la Oswalda in varie occasioni, fra le quali anche questa: Non vorrei essere un uomo, una commedia leggerissima non priva però di risvolti scabrosi, quantomeno per l’epoca. Già di per sé la storia di una ragazza che beve, fuma e si comporta da maschiaccio è indubbiamente pruriginosa per il pubblico dell’epoca; ma il fatto che nella trama sia contenuto uno scambio di effusioni sufficientemente esplicite per i tempi (baci sulla bocca!) fra due uomini non dev’essere stato tanto facile da digerire. Chiaramente tutto si risolve nel modo migliore per la coeva morale: la ragazza si toglie i panni maschili e dichiara, battuta conclusiva e titolo del film, “non voglio essere un uomo” (anche se in Italia è stato tradotto con l’incomprensibile condizionale “vorrei”). Tre quarti d’ora di durata, tre atti di un quarto d’ora ciascuno; Lubitsch scrive anche il copione, insieme a Hanns Kraly. Gli altri interpreti centrali sono Curt Goetz, Margarete Kupfer, Victor Janson e Ferry Sikla; il ritmo è buono e non manca qualche riuscita scenetta smaccatamente comica, specie nei primi minuti. 5/10.
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