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No - I giorni dell'arcobaleno

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su No - I giorni dell'arcobaleno

di obyone
8 stelle

 

locandina

No - I giorni dell'arcobaleno (2012): locandina

 

Pablo Larrain riprende in mano la storia del Cile e ne valuta la portata secondo la propria interpretazione di testimone indiretto degli eventi. Spostandosi da un capo all'altro dell'era Pinochet il regista chiude il cerchio attorno alla figura del "Penocho" del quale, bambino, inalava le polveri di un'indiscussa adorazione familiare. Una consultazione popolare ne esautorò la leadership mettendo in discussione la dittatura e la posizione della stessa famiglia Larrain all'interno dell'establishment. Pablo aveva 12 anni ed il Cile era in festa per la fine di un'epoca. Casa Larrain respirava, invece, il clima cupo di una inaspettata tragedia.

Dai tempi confusi e sanguinosi della disfatta democratica, raccontati in "Post Mortem", Larrain manda avanti il nastro e si ferma sulla lenta e quasi impercettibile stagione finale della dittatura. In mezzo tre lustri già sintetizzati altrove nella sua prolifica filmografia. Si riparte dal lascito testamentario di "Post Mortem", dall'assioma che trova nel terreno fertile di una società vile, abulica e complice il successo di una dittatura militare. Una legge che ha ancora un valore sostanziale nel 1988. Quando la domestica di René Saavedra viene interrogata sui perché del "No" e sui perché del "Si" pone come risposta, all'interlocutore, una controdomanda. "Perché cambiare? Ho un buon lavoro, mio figlio sta studiando. L'avvenire sembra roseo". Perché dunque abbandonare la nave del generale Pinochet per un voto di protesta che porterebbe ad una transizione complicata, al riaccendersi degli animi, alla povertà su larga scala? Le cose, finalmente, vanno bene. Per i partiti dell'opposizione legittimati a produrre un video di 15 minuti al giorno sui canali della TV di stato cilena, allo scopo di perorare la propria causa, ci vuole un messaggio ben studiato che non faccia leva sul passato di crudeltà del regime ma sulla qualità dell'avvenire democratico. A nessuno importa più delle torture, dei giovani passati per le armi e gettati in qualche fossa comune. Pochi si guardano indietro alla ricerca dei corpi che nonne, madri, mogli e sorelle non smettono di cercare. Il messaggio di libertà si deve perciò spogliare del suo contenuto politico e civile per abbracciare il desiderio di ricchezza materiale e stabilità economica che ogni cittadino anela più di qualsiasi revisione storica. Qualche successo economico, la cultura americana del consumo e dell'individualismo hanno abituato al recente benessere molti di coloro che sono chiamati a votare al referendum del 1988 concesso da Augusto Pinochet per attenuare le pressioni internazionali che chiedono, fortemente, la legittimazione di un potere conquistato con la forza. Svuotato da ogni etica, da ogni valore, quel "No" a Pinochet recupera, nel calderone dei (dis)valori del liberismo economico a cui la politica di regime si era facilmente votata, quelle strategie necessarie a raggiungere l'obiettivo finale. Ai partiti fuorilegge, chiamati a creare intorno al governo la prima vera forma di opposizione, non resta che combattere a viso aperto nel campo di battaglia preferito dal nemico, utilizzando le sue stesse armi.

La politica si adegua e cede lo scettro della campagna referendaria al marketing di cui il fuoriclasse assoluto sembra il giovane René Saavedra da poco tornato in Cile dall'esilio. È lui a suggerire il cambio di rotta. È lui che convince i recalcitranti partiti a non guardare al passato. È necessario recuperare gli elettori che, a contrario dei partiti di sinistra, sentono di rispecchiarsi nel futuro.

Pablo Larrain prende liberamente a prestito dall'opera omonima di Antonio Skarmeta e si affida al telegenico attore messicano Gael Garcia Bernal che interpreta l'affermato pubblicitario protagonista della strategia pubblicitaria del "No". Girato in bassa risoluzione e in 4:3 per meglio calarsi nella realtà dell'epoca il film si fa notare per l'intenso lavoro sulle luci di Sergio Armstrong che sarà ripreso, anche se con significati diversi nel successivo "El club".

Le luci artificiose di "Tony Manero" e quelle cupe di "Post Mortem" testimoniavano una stagione autoritaria e priva di libertà in cui il paese si muoveva come un topo nella semioscurità del regime. In "No - i giorni dell'arcobaleno" la luce è il risultato dalle radiosa trasfigurazione dalla condizione servile alla condizione civile. La luce inonda lo scenario testimoniando le intenzioni di un paese pronto a voltar pagina e a mettere in discussione il regime. Irradiata da ogni possibile angolo della scena la luce è metafora di una democrazia del pensiero che si nutre di opinioni diverse e molteplici punti di vista che si fanno strada attraverso le foglie, le finestre poste dietro le spalle dei personaggi, le nuvole in cielo. La luce rivelatrice della democrazia emana dai potenti riflettori di un set cinematografico, dal sole riflesso nella tintura metallizzata di un automobile rendendo nuovo l'uomo che ne è illuminato.

La luce è il simbolo della rinascita del paese del risveglio politico, infine, di una verità che non può più nascondersi nel buio delle minacce.

Se l'aspetto simbolico è caratterizzante, il terzo ed ultimo film dell'informale trilogia cilena presenta un'intelaiatura più ordinaria rispetto ai precedenti. Larrain non adotta artifici letterari evitando inutili complicazioni che possano distrarre lo spettatore dall'assimilazione del messaggio. Tuttavia Larrain non rinuncia al tocco personale in alcune sequenze molto belle che raccontano il progredire del tempo. Le discussioni intorno alla politica e alla realizzazione della campagna referendaria sono centrali ma rischiano di tediare. Per non correre il rischio Larrain lega più scene, ambientate in luoghi, condizioni climatiche diverse e con personaggi diversi, utilizzando come filo il dialogo che non ha soluzione di continuità nonostante i cambi di scenario. Questo artificio viene spesso utilizzato per rendere l'idea di un'estenuante processazione dei dati e delle idee in seno alla dirigenza dei partiti. Un'altra scena esplica il concetto con chiarezza. Saavreda sta discutendo con il leader delle opposizioni José Urrutia e sale, seguito da una camera a mano vibrante, all'interno di un auto. Ne esce, mentre sta ancora parlando con il suo uomo, in altre condizioni logistiche e temporali. Due parole, infine, sull'antieroe Lucho Guzmán sono d'obbligo. Il pubblicitario al servizio del regime cerca, in molti modi, di mettere i bastoni tra le ruote del proprio pupillo, René Saavedra, ma le sue motivazioni sono ben diverse da quelle del potere uscente per cui lavora. In Guzmán il disinteresse verso la politica e proporzionale all'amore per il danaro che non ammette padroni. Guzmán non si rispecchia nelle fedi politiche e crede solo nel successo. Un atteggiamento che segna il presente e che ogni compagine politica dove prendere in considerazione.

Nonostante il monito di una mancanza di stimoli politici nella moderna società cilena Pablo Larrain chiude con un messaggio di speranza: un genitore consegna un nuovo paese al proprio figlio tra le strade festanti di Santiago. La più hollywoodiana delle conclusioni, condita, non a caso, da una nomination agli Oscar, è servita. Ma alla fine di un'epopea straordinaria l'eccitazione di un'insperata nuova stagione politica non può che produrre speranza per un futuro migliore e temperare la visione larraniana della società cilena, spesso dipinta con tinte fosche e analitica lucidità. Del pensiero autoriale resta forse la sorpresa o la perplessità di Saavreda mentre tiene il figlio in braccio. Ma per una volta è giusto fermarsi a ridere, ballare, festeggiare.

 

Alfredo Castro

No - I giorni dell'arcobaleno (2012): Alfredo Castro

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