Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
Continua l’indagine di Pablo Larrain sul Cile. Il suo lavoro è un ricollocamento a freddo delle conseguenze sulla coscienza traumatizzata del suo popolo, sventrata di identità, rispetto, diritti. Un’ideale trilogia la sua, che si focalizza, prima in modo grottesco e surreale e poi in maniera realista, lo sfaldamento di ogni certezza di un popolo abbandonato a se stesso, imploso nelle proprie paure a causa di un folle disegno politico piovuto sul paese per volere di un dio feroce e spietato. Il capitalismo inoculato a forza dalla dittatura militare di Augusto Pinochet, uomo della Cia responsabile della morte del presidente Salvator Allende , nel 1973.
Tony Manero (2007) fotografava la sublimazione folle della dispersione di qualsiasi ideale di comunità e socialità in atti di brutale criminalità. In questo caso la sensazione era che la fotografia di un microcosmo demente fosse drammaticamente universale. Post Mortem (2010) , film dolentissimo, mostrava il corpo morto del paese traslato metaforicamente nella fredda autopsia del presidente Allende, giunto cadavere in ospedale dopo il colpo di stato. No – i giorni dell’arcobaleno è invece una ricostruzione storica della fine della dittatura di Pinochet voluta dal popolo grazie ad un referendum imposto dalla comunità internazionale per favorire le libere elezioni, del 1988, anni quelli di fine decennio ‘80 durante i quali il mondo intero subisce grandi trasformazioni sociali e politiche, e come tessere di un domino cadono una ad una, sospinte da un vento di globale rinnovamento, le cortine, le dittature, i muri. O di nuove opportunità politiche. Molto più facilmente , una dittatura come quella di Pinochet non serviva più, nel tempo dell’immagine una parvenza di democrazia che favorisse sempre la fazione liberista e consumista del mondo era l’ideale. E così fu, a posteriori la vittoria di chi doveva vincere per mettere al potere chi serviva che andasse al potere, ovvero gli stessi di prima (Pinochet rimarrà come capo dell’esercito) con altri abiti, altri sorrisi, altra immagine. Ma questo , appunto, a posteriori, cosa che il film non mette in mostra, giustamente, perché il cuore del film poggia non sulla razionalità degli ideali ma sull’effimera potenza, subliminale, dell’ immagine.
Lo stile di Larrain è sempre quello dei film precedenti, immagini nervose, sporcate da controluce che accordano l’immaginario del film alla psicologia dei personaggi. In Tony Manero , il personaggio interpretato da Alfredo Castro (Miglior film e Miglior attore al festival del cinema di Torino) è spesso fuori fuoco per sottolinearne la perdita di consistenza sociale e di identità.
In questo caso la fotografi è quella ocra di fine anni 80, come se il film fosse ricavato da filmati di repertorio, mentre la mobilità della macchina da presa stimola il concetto che qualcosa, in Cile, si sta muovendo. La coerenza tra stile e messaggio del film si accorda a quanto accade nella storia, ovvero la creazione di spot pubblicitari pro cambiamento , ideati da un pubblicitario di successo René Saavedra (Gael García Bernal) che stimola la voglia di svolta radicale del paese trasmettendo spot dinamici, divertenti e in pieno ritmo e colore anni ‘80, quasi fosse un alter ego del regista stesso.
L’idea, grandiosa è di sfruttare il quarto d’ora notturno messo a disposizione del regime per la comunicazione dell’opposizione in modo innovativo contrastando le pesanti e retoriche immagini della campagna totalitaria istituzionali, con altra retorica. Quella della merce, la democrazia venduta con il linguaggio universale della pubblicità , jingle compreso. Leggerezza e felicità, libertà e spensieratezza, ideali che consentono alla fazione del NO, ovvero chi voleva la fine della dittatura , di prevalere sul SI, sicuro di ogni vittoria.
E’ vittoria? Lo è, per quanto concerne l’aspetto puramente narrativo, non lo è totalmente dal punto di vista storico. La storia è vera, magistralmente messa in scena come un thriller dal notevole ritmo narrativo. E mai trionfalista, Larrain è troppo intelligente per montare retorica su una vittoria effimera che conserva al suo interno, nella società, la contraddizione di una libertà conquistata e sottomessa al capitalismo liberale imperante, con il dittatore, fino a poco prima carnefice, seduto nella poltrona di fianco a lucidare le canne dei cannoni. Questa dicotomia cucita alla meno peggio è raffigurata con grande sensibilità nel personaggio di René, unico vincitore effettivo della disfida, poiché guru della pubblicità , ma l’unico a non festeggiare la vittoria. Il suo rivale, il pubblicitario che curava la campagna del SI è infatti il suo capo (Alfredo Castro) , acerrimo rivale legato al regime, con il quale torna tranquillamente a lavorare a referendum finito.
“Quello che vedrete ora, è in linea con la natura del Cile odierno. Siamo onesti, oggi il Cile pensa al suo futuro” più o meno, è la presentazione iniziale delle campagne di vendita di ……….. Ed è la frase d’apertura e chiusura della pellicola. Nulla è cambiato, dopo tutto. Grandissimo film.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta