Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
Larrain continua il suo emozionante lavoro di analisi sociale e di documentazione storica sugli eventi che hanno segnato la storia del Cile dal golpe del generale Pinochet fino alla sua uscita di scena. No, i giorni dell’arcobaleno può ragionevolmente rappresentare la chiusura di quel periodo documentando e relativizzando in immagini di finzione e di repertorio il passaggio alla nuova democrazia, conquistata con la vittoria dei sostenitori del No ad un referendum farsa indetto dal regime per chiedere una scontata conferma del proprio potere. Cinema d’impegno politico con un punto di vista preciso ma sempre legato alle vicende umane, come se il cammino della storia fosse legato a piccole e grandi azioni della quotidianità che in un clima di oppressione diventano bandiere, come profonde grida di libertà da sventolare. Dunque ancora microcosmi esistenziali che si condensano in avvenimenti epocali, questa volta sarà un pubblicitario, Renè, rientrato in Cile da poco e incaricato dagli oppositori del regime di creare una efficace campagna propagandistica per votare No. Il giovane Renè si scontrerà con il suo capo, che invece curerà la campagna del Si, metterà a dura prova la loro intesa manifestata nel loro specifico campo lavorativo, inoltre verrà anche ostacolato dagli stessi fautori del No che vorrebbero una campagna pubblicitaria più ideologizzata e contenente immagini dal forte segno politico. L’ottimo Larrain adotta la figura di Renè come un moderno testimone della lotta anti regime mantenendo però un distacco e una neutralità nel suo modo di vedere che rappresenta un’autonomia di pensiero, una libera scelta di campo svincolato da qualsiasi condizionamento. La determinazione e l’intuito di Renè faranno mutare il corso degli eventi, e pure senza drammatizzare eccessivamente i toni, il film riesce a fare comprendere in pieno il personaggio e le sue motivazioni. L’uso di colori, tonalità e di riprese sempre in movimento restituiscono l’atmosfera e il respiro cinematografico di quegli anni, in qualche modo ci avvicinano a quel “qualcosa nell’aria” che poneva interrogativi più che sentenze, che cercava di non demolire in fretta ogni aspirazione in favore di una concretezza più spiccata ma anche di andare a scovare nuove valenze non preconfezionate. Certamente il personaggio chiave Renè, pone una serie di problemi, lui stesso formato da quella cultura e dal progresso del capitale che anni prima ha sfigurato il suo paese, non appare tanto determinato idealmente in ciò che fa, ma più concretamente calato nel cercare efficacia e successo nel suo lavoro. Attualizzando il concetto nella nostra realtà, perché le problematiche della comunicazione di massa, di informazione e di influenza del potere delle immagini e di ricostituzione della coscienza collettiva sono temi sempre più pressanti, Renè (chiedo scusa in anticipo..) potrebbe definirsi un… “rottamatore” non di idee, ma di un sistema ideologico che non vuole conoscere altri mezzi che le consolidate forme di contrapposizione che la storia in ogni parte del mondo ha perpetrato. Ne dobbiamo dedurre che è meglio fottere la mente dei popoli che invece informarli, dove sarebbe la novità? Niente di tutto questo, ovviamente, Renè è una figura di lettura disincantata della realtà, un semplice interprete che ha il coraggio di proporre, di rischiare. Non a caso, in una scena lui e i suoi collaboratori più politicizzati chiedono alla umile donna di servizio se voterebbe per il Si, e lei confermandolo ribadisce la sicurezza della sopravvivenza che il regime ha garantito a lei e alla sua famiglia con il prezzo però incompreso della sottomissione. Renè introducendo tematiche atipiche e disorientanti per chi fa politica, costringe la parte avversa a confrontarsi su nuovi territori linguistici e comunicativi denunciando la sua mancanza di credibilità. Come possono parlare di pace, di felicità, di allegria dopo avere sedato violentemente ogni opposizione? Non è superficialità, è uso scientifico del marketing che piaccia o no e che vuole arrivare ad un risultato. Come detto la traccia che parallelamente si affianca alla storia del referendum è rappresentata dalla vicenda personale del protagonista, con figlioletto a carico ed ex moglie dedita alla lotta di piazza. Nonostante Larrain non abusi dei suoi personaggi e non cerchi mai di spettacolarizzarne le vicende, buca letteralmente la scena nelle volte in cui padre e figlio attraversano vari momenti importanti della storia, disorientati ma fortemente uniti. Se può emergere qualche legittimo dubbio del protagonista adulto sulla potenza delle immagini di influire sulle persone e sull’emotività collettiva, in No, i giorni dell’arcobaleno viene anche sottolineato come la vita delle persone vada avanti, si proietti verso obiettivi, speranze e sogni a cui non rinunciare per nessuna ragione, come sia legittima la voglia di crescere e di migliorarsi, anche con il peso di una dittatura, ieri militare oggi economica, che sembra schiacciare ogni desiderio, ogni libertà, ogni pulsione vitale.
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