Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
CANNES 2012 - QUINZAINE DES REALISATEURS
Pablo Larrain alla sua opera terza abbandona, almeno per il momento, i personaggi fittizi e forti, esagerati, esasperati e cattivi resi con mirabile efficacia dal suo inquietante attore feticcio Alfredo Castro (qui comunque presente nel ruolo del laido e doppiogiochista datore di lavoro del protagonista), creati da una fantasia lugubre, sanguigna e surrealista in un contesto di una dittatura invece del tutto reale, quellla cilena anni '70; un film con piu' realismo e meno finzione rispetto ai precedenti, calato in modo piu' aderente (anche nella fotografia sgranata quasi fosse un documentario anni '80) nel momento cardine del capolinea della dittatura di Pinochet. Quando infatti nel 1988 Pinochet indisse, perche' costretto dalla Costituzione, un referendum popolare tramite il quale il popolo potesse esprimersi direttamente sulla continuazione del suo quindicennale governo, gli oppositori, cioe' i promotori del "NO", contattarono un abile giovane pubblicitario, Rene' Saavedra, affiche' questi potesse pensare e curare una campagna pubblica con i canoni veloci e persuasivi dello spot, che potesse aprire gli occhi alla gente impaurita dal cambiamento e dalle azioni efferate perpetrate dal regime. Ha inizio una lunga drammatica epopea contrassegnata da intimidazioni, violenze, coercizioni che tuttavia non scoraggiano la causa e portano cosi' alla caduta del rovinoso regime assolutista del dittatorte.
Pinochet battuto dalla pubblicita' insomma, annientato dallo spot: un linguaggio suadente che ha saputo esercitare la sua attrazione visiva anche sui meno propensi ad abbandonare, magari per paura di ritorsioni, un regime assoluto tra i piu' saldamente radicati in Sudamerica. Il film assume spesso uno stile documentaristico che si alterna efficacemente, e quasi senza farsene accorgere, alle drammatiche immagini di repertorio girate negli anni della lotta al regime e si differenzia dunque molto dai due magnifici film precedenti, probabilmente non riuscendo, nonostante le buone intenzioni e l'ottimo spunto, a raggiungerne la purezza ed il valore unico. L'affronto di un dittatore sconfitto dalla pubblicita' e' tuttavia una riflessione geniale, tanto piu' se si pensa che mentre in Cile un malgoverno lo si e' sopraffatto con questo mezzo altamente persuasivo, da noi in pieno Occidente "L'uomo di Arcore" e' salito al trono proprio grazie allo spot e alla scellerata programmazione delle sue spiazzanti televisioni commerciali, che hanno bruciato menti e raziocinio a piu' della meta' degli italiani; l'altra drammatica riflessione che ci puo' venire in mente con questo interessante film e' che i cileni hanno resistito un quindicennio prima di scalzare definitivamente un dittatore, mentre noi dopo diciassette anni di malcostume che ha trovato nell'uomo dello spot e della tv privata il suo piu' indiscusso ed allarmante baluardo, viviamo tutt'ora nell'incubo che, prima o poi, questo individuo possa tornare per finire di distruggere quel poco di buono che ancora (forse) esiste qui da noi, paese alla deriva quasi quanto uno stato sudamericano.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta