Regia di Gavin Hood vedi scheda film
Ender, l’Eletto, gioca a fare la guerra.
Ma la guerra si sa, soprattutto se simpaticamente preventiva, non è un gioco.
Infatti è un videogioco.
E quindi, chi meglio degli adolescenti può armeggiare con sofisticate elaborazioni virtuali per imparare e padroneggiare la nobile arte? Questa, in pratica, l’unica spiegazione fornita riguardo la presenza ai posti di combattimento dei brufolosi fanciulli. Non è l’unico buco nero che bisogna far finta di non vedere.
Molte cose non si comprendono: il racconto è sfuggente in tanti punti, e farraginoso nel suo insieme. Probabilmente il romanzo, di cui il film è l’adattamento, è in tal senso più chiaro, articolato, logico; allora è una trasposizione malriuscita. Mancando tale informazione (e senza nessun interesse di recuperarne i dati), non si che può valutare negativamente questo Ender’s Game.
La sceneggiatura, che scade in pesanti voragini e incongruenze, abbellite di qualche (coerente) citazione a tema, prevede il più classico dei percorsi di formazione: tutto stravisto, in particolare nelle dinamiche degli ambienti di addestramento (ogni due decimi di secondo sovvengono brani di cinema più o meno grande), ma non solo. La stessa figura centrale del bambino prodigio Ender spiazza per banalità (la ricerca dell’equilibrio tra la “tenerezza” della sorella e la “violenza” del fratello; il rapporto conflittuale con le autorità; le rivalità con agli altri pretendenti), fluttuando scoordinata nei vuoti riempiti con clichè e consueti meccanismi volti a produrre empatia.
Non va meglio con la forma: la visione è confusa e confusionaria, l’effetto è quello di una sorta di “foschia” digitale, con lampi di rosso, astronavi pixelate, architettura estetica derivativa. Almeno è stato scansato il pericolo 3D, che pure per sfondi in teoria “spaziali” non sarebbe stata una pensata così malvagia (visto l’abuso compiuto su pellicole molto meno adatte). Il peso dell’elaborazione in CGI si avverte e vede tutto, con l’ovvia conseguenza di una proiezione “fasulla”: sembra di stare, appunto, dentro un videogame.
Destinazione evidentemente ideale per le avventure da joystick di Ender.
Il carico giunge con la “sorpresa” finale: l’eletto, assurto al grado di comandante della flotta (mentre le eminenze grigie, tra cui l’inflessibile colonnello Harrison Ford e il leggendario eroe tatuato dalle origini maori Ben Kingsley - entrambi malcapitati/spaesati - stanno dietro una vetrata a guardare), credendo di governare l’ennesima simulazione da wargame, rischia il tutto per tutto, e così manda a morte migliaia di sottoposti, distrugge l’intero pianeta degli (ex?) invasori alieni “formicoidi”, annientando la specie. Però è tutto fuorché una simulazione: dall’enorme struttura virtuale, egli in realtà comanda - non si capisce come né viene fornito un qualsiasi pur vago straccio di “collegamento” - le truppe nella realtà “vera” (fa niente che non si noti alcuna differenza tra le immagini rielaborate digitalmente e le riprese dal vero).
Insomma: echi machiavellici, guerre preventive, olocausti, sacrifici, adolescenti soldati («penseremo dopo alla questione morale» urla Harrison Ford ad una sensibile ufficiale), l’arma usata come “soluzione finale” soprannominata Dottor Morte …
E la “missione di pace” con cui si chiude il film, aprendo il nuovo viaggio di Ender - una volta appresa la terrificante verità e scoperto di avere doti “comunicative” con la razza aliena - è giusto un misero contentino; ed altresì un modo per proseguire la saga. Ma soprattutto una storia che non appassiona, non riesce a decollare (in tutti i sensi); che non si può prendere sul serio malgrado le (risibili) intenzioni e iniezioni di tematiche “adulte”.
È cinema-videogame, d’accordo, ma non è mai divertente guardare gli altri giocare.
Non c’è che dire, proprio un bel prodotto, Ender’s Game.
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