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Berberian Sound Studio

Regia di Peter Strickland vedi scheda film

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La recensione su Berberian Sound Studio

di lostraniero
6 stelle

La discesa agli inferi del povero tecnico del suono Gilderoy (un iper-espressivo ma paradossalmente impenetrabile Toby Jones), avviene in un doppio confronto continuo di piani contrapposti. La sua flemma very english alla scostante vivacità tutta italica, che la troupe con cui viene chiamato a collaborare esprime in maniera sempre più evidente; il balbettare sillabe scomposte in una lingua che non comprende (che non lo comprende a livello quasi fenomenico), contro la lingua d’Albione che alcune strane, sconosciute figure masticano con una evidente ripulsa culturale (il regista Santini – un istrionico, monicelliano Antonio Mancino – gli spiega, papale papale, che non è lì a lavorare su un “film horror” ma su un “Santini film” e lo prega di non ricadere più nell’errore di confondere le due cose!); la saletta di montaggio che ricostruisce con sagace perizia da patiti collezionisti, la strumentazione elettronica degna di un altro buon lavoro di ‘sound suspence’ qual’è “Good night, and good luck” (un Clooney-super-democratic alla regia, è del 2005 ed una visione se la merita davvero), e l’ambiente dedicato agli effetti sonori dove sono invece accatastati gli oggetti più impensabili, quotidiani, comunissimi con i quali vengono prodotti i rumori necessari al rimixaggio audio. Angurie, cipolle, zucche marce, vari tipi di superfici metalliche, pezzi di legno, ventilatori e quant’altro possa dare l’idea di un bazar della finzione che tenta di mostrare la realtà. Il lavoro nelle lunghe serate solitarie, su un magnetofono portatile, che lentamente prende in mano le redini di ogni cosa e scalza, quasi con una impercettibile dissolvenza incrociata, il compassato stare dietro fonometri e giuntaggi di ektachrome. La parola scritta della madre che tiene testa, (mediaticamente, a livello comunicativo) alla ‘parola della luce e al riverbero del suono’, poi la contrasta, l’addenta, l’annulla psicoticamente. Così che alla fine, anche noi ci accorgiamo che dal piano del reale, la storia è scivolata via su quello degli abissi della mente. Una pazzia omicida che striscia tra i fasci delle lampade, nei chiaroscuri delle cabine audio, nel buio dei blackout. Ed il timing della musica, stavolta, sarà il timing della ragione. Non un capolavoro, ma un film per palati fini… ah, pardon!... per uditi fini.    

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