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The Door

Regia di István Szabó vedi scheda film

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La recensione su The Door

di OGM
8 stelle

Una favolosa Helen Mirren è protagonista per István Szabó, nella trasposizione cinematografica di un romanzo autobiografico della popolare scrittrice ungherese Magda Szabó (nessuna parentela). Un racconto pieno di segreti e di memorie, di testimonianze di vita racchiuse nel silenzio del cuore e sepolte dietro una porta che non si apre mai. Emerenc è un’anziana donna, che vive da sola in un piccolo appartamento, dentro il quale non lascia entrare nessuno, nemmeno le persone più fidate. È una persona energica e determinata, che mostra una buona dose di saggezza, però ha tagliato i ponti con la vita. Il suo animo è segnato da terribili traumi infantili, ed inoltre in lei cova un misterioso rancore, verso qualcuno che l’ha imperdonabilmente respinta o dimenticata. Sembra un essere venuto dal nulla, senza legami né radici, eppure alle spalle ha una storia lunga e dolorosa, che non vuole raccontare. Magda, una giovane scrittrice che abita col marito Tibor in una villa accanto alla sua casa,  un giorno bussa alla sua porta in cerca di un aiuto per le faccende domestiche. Dopo qualche resistenza, Emerenc accetta l’incarico. È l’inizio di un rapporto complesso, che fatica a conquistare il territorio della confidenza e dell’intimità, ma, lungo tutto il suo travagliato percorso, insegue costantemente la profondità dei sentimenti veri. La durezza dell’esistenza ha trasformato Emerenc in un libro nel quale sono stampate certezze inamovibili, sentenze definitive che Magda è costretta a leggere in ordine sparso, mano a mano che gli eventi forniscono alla sua domestica gli spunti per sfogliarne le pagine. Chi, come lei, scrive romanzi, è abituato alla chiarezza e alla consequenzialità, al flusso continuo del divenire che segue la nascita delle storie. Emerenc, invece, è il personaggio che parla dopo che il suo destino si è compiuto, i bilanci sono stati tratti, le conclusioni sono state messe nero su bianco. Le sue idee sono i sigilli di ciò che non può più essere cambiato: sono indizi frammentari che segnalano luoghi carichi di verità tanto sofferte quanto inaccessibili. Il muro che quella strana donna ha eretto a sua difesa è un ermetismo presuntuoso e irriverente, in cui è difficile distinguere tra cattiveria e bizzarria. Guarda tutti dall’alto in basso, ma forse è solo perché li considera creature piccole e fragili, bambini che non conoscono la vita e che quindi vanno educati e condotti per mano. Che la sua autorevolezza sia fondata o soltanto finta, quella governante terribile è comunque un esempio del modo in cui la sventura può ridurre una persona, portandola ad aver paura di tutto e a non credere più in niente. Eppure, di fronte a questa negazione assoluta, che sembra il ritratto di una irrimediabile sconfitta, Magda risulta totalmente disarmata. Non sa replicare quando Emerenc bestemmia contro i suoi gusti, le sue abitudini, le sue convinzioni, ed il motivo è semplice: sono tratti della sua personalità che Magda indossa come un vestito elegante,  con cura ed un pizzico di orgoglio, ma senza mai avervi riflettuto sopra. Quelle due figure femminili – così sofisticata e imbelle l'una, così essenziale e battagliera l'altra – si fronteggiano, sul piano letterario, come la narrativa di costume e la poesia militante, quella che si vende nelle piazze per ottenere il successo, e quella che si distribuisce clandestinamente per rovesciare il sistema. Magda si commuove per un premio ricevuto dal ministero della cultura, nello stesso momento in cui Emerenc si arrabbia per un’importante promessa non mantenuta.  I sogni comuni e le parole convenzionali riempiono la carta offerta in pasto al pubblico, mentre i risultati della faticosa ricerca di un senso sono destinati a rimanere incompresi. Ecco perché Emerenc tiene sotto chiave il suo piccolo regno nascosto. Nessuno, là fuori, capirebbe. Quella donna così duramente colpita dal destino cerca disperatamente di salvare ciò che Magda non possiede, e che la rende così fragile ed impotente: è la capacità di resistere alle regole vigenti, che non guardano in faccia a nessuno e non hanno alcun rispetto per il passato che continua a fare male, anche se è andato in cenere ai piedi di un albero o è scomparso per sempre in fondo ad un pozzo. Con The Door István Szabó ritrova, in un soggetto non suo, quell’inquietante sinfonia di amore, incubo e straniamento che, fin dalle sue prime opere, è l’anima di una cinematografia votata alla lotta senza speranza; ed è la controparte esistenziale del travaglio ideologico di un mondo tumultuoso, alle prese con i frutti insipidi delle sue rivoluzioni inconcludenti.  


 

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