"Under the skin" è un film che aggiorna modi, tempi ed atmosfere della tradizione sci-fi britannica (con un occhio anche ad altre nazioni). Dal tono allucinato di Roeg ("L'uomo che cadde sulla Terra") al fantastico quotidiano di Boyle ("28 giorni dopo"), passando per lo sfaccettato impianto audio-visivo di Kubrick ("2001: Odissea nello spazio") e per il misticismo naturalista di Tarkovskij ("Solaris", evocato in una bellissima inquadratura con la protagonista accovacciata e soprapposta in dissolvenza ad alberi mossi dal vento), l'inglese Glazer ripropone un modo desueto di fare cinema di fantascienza. Lento, attendista, gradualista, pacatamente inquietante, poco parlato, propenso alla digressione psichedelica, fuori dal tempo. La Scozia del 2014, in cui è ambientato il film, è la sineddoche di una idea di mondo e di società in procinto di mutare (non credo sia un caso che nel film si faccia esplicito riferimento al referendum che avrebbe potuto dare l'indipendenza al Paese), il contesto più adatto ad una subdola invasione aliena. Ma è al contempo il più classico luogo di spersonalizzazione, secondo la tradizione degli "ultracorpi" di Siegel, come suggeriscono i momenti in cui il montaggio si infittisce e una serie di "common guys" si alternano nell'inquadratura.
Il tema del film è risaputo: una presenza aliena prende le sembianze umane, con conseguenze immaginabili. Il merito di Glazer, a parte l'aver azzeccato un'atmosfera (livida, umida, incupita) anche grazie all'ottimo lavoro del direttore della fotografia, è quello di aver saputo caricare questo spunto di nuove possibili letture. La più affascinante è forse quella meta-testuale. L'aliena prende le fattezze di Scarlett Johansson, vale a dire il sogno erotico del 99% dei maschi etero appassionati (e non) di cinema. Difficile credere che Glazer (o chi per lui) l'abbia ingaggiata solo per il suo volto imbambolato e per il suo irregolare e irresistibile fascino. Fuori dal film, più che un'attrice (più o meno brava) Scarlett è anzitutto una star, ed è probabile che Glazer abbia voluto sfruttare questo aspetto oggettivo per chiamare in causa il pubblico, stuzzicarlo, sfidarlo e infine frustrarne le aspettative. Come altro inquadrare altrimenti una dinamica narrativa al confine col porno-soft dove una donna col viso e il corpo di Scarlett Johansson rimorchia uomini non propriamente avvenenti? Il meccanismo empatico sullo spettatore-medio è scontato; è come un sogno ad occhi aperti, che però si trasforma in un incubo, con la bellissima immagine ricorrente degli uomini che affogano inseguendo, come lemming lobotomizzati, le forme generose della "aliena" Scarlett. Sono sequenze astratte (come la "vestizione" dell'incipit) e dense di risvolti metaforici: il malcapitato sedotto (alter ego dello spettatore), attratto morbosamente dal miraggio di momenti hot con la Johansson, si ritrova a morire inabissato, assumendo una posizione fetale, prima di dissolversi in un magma indefinito. E' come un rientro nel grembo materno, che secondo alcune teorie costituisce il lato inconscio del desiderio di accoppiamento. E il fisico della Scarlett è, a suo modo, materno. La messa in abisso del maschio sedotto rappresenta un invito per lo spettatore a immergersi nella profondità delle immagini cinematografiche, per vedere il film da una prospettiva diversa.
Una lettura del genere può sembrare presuntuosa (da parte sia degli autori sia del recensore), ma è indubbio che il cinema contemporaneo giochi molto con questa dimensione extra-testuale, chiamando in causa lo spettatore e interrogando le sue convinzioni. Può significare, per qualcuno, la fine del cinema, ma questo è quello che si vede oggi, talvolta con esiti suggestivi e stimolanti, talaltra in modo supponente e superficiale. Una lettura forse più immediata, che però emerge soprattutto nella seconda parte, è quella in chiave "femminista", come allegoria dello sfruttamento dell'immagine e del corpo della donna. L'aliena smette di essere cinica e assassina proprio quando si rende consapevole della propria immagine (guardandosi allo specchio), del proprio corpo (denudandosi) e del proprio desiderio (tentando un rapporto sessuale), prima di essere brutalmente stuprata in una sequenza toccante in cui, significativamente, assistiamo alle separazione della testa dal corpo. E' qui che assistiamo alla scarnificazione (o meglio, alla "svestizione") dell'aliena, potendo finalmente vedere "sotto la pelle" (proprio come a metà film vedevamo da "sotto l'acqua") di un film così stratificato da includere altri importanti sottotesti (il tema della diversità, nel bellissimo incontro con l'uomo deforme), sempre con una forte umanità di fondo (i corpi delle vittime che provano ad abbracciarsi, e che somigliano in tutto e per tutto a quello alieno, come a suggerire una comunanza materiale fra i corpi di qualsiasi provenienza).
Qualche difetto di costruzione impedisce la piena riuscita (la figura presto abbandonata del bambino, le apparizioni del motociclista), così come sarebbe eccessivo parlare di film rivoluzionario, visto che i referenti sono molti. Quello che conta è che Glazer abbia saputo mettere in immagini alcuni sentimenti e alcune teorie particolarmente pregnanti, recuperando una idea retrò di fantascienza per parlarci del presente.
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