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Under the Skin

Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film

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La recensione su Under the Skin

di scapigliato
9 stelle

Il corpo, questo sconosciuto. Dalla filmografia corta ed eccentrica, Johnatan Glazer arriva a Under the Skin in gran forma e c’entrando l’obiettivo, quello di contribuire alla riflessione sul corpo e sulla nostra percezione di corpo in un’epoca, questa, in cui il digitale e la virtualità, il posting, il sexing e il photoshopping sono diventate pratiche estetiche senza le quali molti esseri umano non riesco a concepirsi tali.

Non amo lo spiegazionismo di un film, apprezzo quindi l’alone di mistero in cui versa tutta la storia narrata tra le periferie e le colline scozzesi e il girovagare mortifero di questa bellissima aliena senza nome che “veste” la pelle e gli abiti di Scarlett Johansson, la dolce femme fatale degli Anni Zero. Ci è dato sapere solo che abborda uomini qualunque per portarli in un letterale scannatoio oltredimensionale per privarli dei loro vestiti e lasciarli naufragare in un denso liquido nero. La motivazione, non detta, sembra essere solo una: la distruzione del genere umano.

Ciò che conta davvero in questo ottimo sci-fi di Glazer è il come, il modo, la modalità, la forma con cui si pesigue tale motivazione. La distruzione del genere umano, quindi, attraverso l’istintualità del corpo. È l’alchimia fisiologia, è il corpo nudo e crudo di lei e delle sue vittime che permette la distruzione.

La riflessione che il regista suggerisce tra le righe della pellicola non è didascalica né tantomeno moralizzante, anzi utilizza il corpo come archetipo, privandolo di qualsiasi significato che non sia quello immanente della propria carnalità, fine a sé stessa e quindi disarmantemente vera. È l’attrazione sessuale che condanna alla morte i malcapitati. È il corpo nudo della Johansson con le sue splendide rotondità ad essere arma omicida. È la nudità degli uomini sue vittime, con la loro rituale erezione, ad essere un suicidio, un’autodistruzione erotica ed erotizzata che li porta piano piano a sparire inabissandosi guarda caso in una liquidità nera e magmatica che fa eco alla simbologia liquida sessuale. Inoltre, questo rito fisiologico ed estetico dell’erezione che il regista non vuole tenere fuori dal campo visivo è segnale di una consapevolezza poetica e funzionale della nudità all’interno della narrazione. Anche la nudità del deforme, nonostante la sua perturbazione, va in questa direzione.

Se da un lato la condanna di una sessualità sclerotizzata in cui il corpo è solo involucro sembra essere la dialettica che serpeggia in bassofondo nel film – e lo conferma il fatto che la stessa aliena è “involucro” – dall’altro lato la normalizzazione della sessualità e la sua naturale istintualità sembrano invece essere degli inni prosaici alla laicizzazione del corpo e dell’atto sessuale. Il tutto aiutato dal taglio naturalistico, fotografico o zoliano con cui Glazer guarda al mondo, alle periferie, ai volti della gente normale prendendo la giusta distanza documentaristica dall’oggetto contemplato. La sequenza dell’annegamento della famiglia sulla spiaggia sassosa è magistrale. Distaccata, fredda, impassibile, quasi una presa diretta.

Questo taglio permette al regista di confezionare un film in cui l’intrusione dell’alieno e dell’improbabile vanno ad innestarsi nella realtà diventandone parte e annullando l’effetto di straniamento, creando una destabilizzazione interna che agisce sull’emozionalità universale in luogo della estraneità storica e temporale.

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