Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film
I perché dello sguardo creano la vista, quest'oscuro senso che grazie alla luce conosce e vive la realtà. La genesi del Cinema, una luce che si accende su un'umanità che la luce crede di averla, e che invece l'ha dimenticata da un pezzo, sostituendola ai gelidi toni bluastri da metropoli dispersa e dimentica del mondo.
Under the Skin ci chiede di guardare in modo diverso, di vivere rincorrendo le nostre risposte per non lasciarci risucchiare dal buio. Osserviamo un reale fatto di nulla, in cui generare il buio è attività semplice. Buio che rincorre buio, un'aliena (diversa, l'extraterrestre è solo una necessità di trama) che si appella a ciò che di archetipico c'è nell'essere umano (impulso erotico, generato dalla vista) per estrarne ciò che forse è essenziale, qualche informazione, e poi la scorza, in una subacquea bolla impalpabile. Creare una razza aliena, forse? Inutile soffermarvici, Glazer utilizza le ambiguità come illusioni, così come nessun'altro ha mai fatto, per immergere in un'oscurità dei sensi, dove riacquistiamo vista, tatto, udito, gusto e olfatto, oltre che spasmodica attesa orgasmica, protesa al soddisfacimento e stroncata dalla morte. Creazione dello sguardo che crea, dunque, da ciò che l'umanità ha distrutto. Uno sguardo che è a sua volta oggetto di contemplazione, un bellissimo corpo, una Johansson irresistibile: immancabilmente ci si sente parte dell'umanità bieca che le corre dietro, come di fronte alla vera Risposta, l'oggetto della nostra verità più bassa e oscura, la fame. Così lei, noi, possiamo osservare e osservarci. Ma qualcosa va storto, e Glazer lo fa spiegare alle immagini.
Che lo sguardo guardi se stesso, alla fine? Quale corto circuito bestiale si cela dietro una scorza: il corpo deforme di un uomo può essere rampa di lancio di una comprensione nuova. Il buio della Fame umana è effettivamente la parte più vera di noi, la facciamo vedere a chi ci scruta e ci contempla (gli alieni, questi spettatori). Quindi possiamo generare sentimenti insperati, pena, compassione, curiosità. Conoscere l'uomo osservandolo? L'uomo va conosciuto vivendo come lui. Come in un The Others più carnale, siamo fuori da noi stessi, e guardarci ci risulta straniante, frastornante, perché siamo nel freddo compassato Occhio ritmato al suono di Altro, di un indecifrabile di cui prendiamo il punto di vista. Ma chiunque guarda deve trovare se stesso. E qui inizia la parte meno interessante, ma più impellente, di Under the Skin. L'aliena Scarlett vuole conoscere sé stessa come umana, vuole trasformarsi, vuole scappare, liberare una sua preda, mangiare, scopare, rincorrendo un'ideale di luce irraggiungibile. Come stancarsi del buio e del non-poter-essere-penetrata. Come una telecamera che può mostrarci la realtà quanto vuole, ma non può farcela fisicamente toccare. Il Cinema come frustrazione. Il cinema è uno schermo, un muro solido. Noi cosa siamo davvero, dietro la superficie?
Morire di luce, dopo che in tanti sono morti di buio. Dopo essersi finalmente (ri)vista: l'aliena Scarlett non è un po' come noi nella sala del cinema, o nel buio di una camera di fronte alla tv? Il nostro corpo illuminato dalla luce illusoria dello schermo, destinato a spegnersi quando lo schermo smetterà di farsi portatore di luce. Noi come saremo allora? Un corpo nero, impenetrabile come lo siamo stati dal film che abbiamo appena visto. Come non mai, Under the Skin ci osserva, ci stringe nel suo nero liquido attraente. Nella storia dell'aliena Scarlett che guardava e che ha finito per guardarsi, e per contemplare la sua vita umana, fatta di illusioni e ancor più frustante della nostra, destinata con la vita vera a prendere fuoco. Fintantoché il nostro sguardo continuerà a vigilare sullo schermo, fintantoché la neve non ci avrà sepolti definitivamente.
Under the Skin è enigmatico e conturbante, mostruosamente bistrattato dalla critica, decisamente intenzionato a cambiare le sorti di come si percepisca lo sguardo e la visione del Cinema. E pur nella fastidiosa convinzione che ha di sé, riuscirà (senza umiltà) a dividere abbastanza da dare al Cinema un nuovo scossone. Perché questi film il Cinema lo fanno (ri)vivere, ancor più che nella mente, nei sensi.
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