Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film
Sotto la pelle del (film)mondo c'è un nero che inghiotte. Un nero liquescente e vivissimo nel quale si inabissano brandelli di (immonda) materia umana varia, vis(su)ta attraverso lo specchio che rivela l'assenza di qualsiasi schermo: lo sguardo ipnotico alien(at)o dagli occhi dal nulla venuti (e nel nulla amniotico sospesi) si (s)posa smarrito e accecante, letteralmente, in luoghi della mente tetri, melmosi, miserabili.
Ineluttabile discesa nel maelstrom di una natura selvaggia e innocente, fitta selva abitata da infiniti angoscianti volti e rumori di fondo (e dal sottofondo sottobosco tribale, sintetiche frequenze stranianti e disturbi sonori mesmerizzanti s'insinuano sottopelle, ustionandola) che (de)formano paesaggi dell'animo in una desolazione cosmica, senza fine e senza speranza. Senza pietà.
E malgrado la pungente foschia (fisica e spirituale, tangibile e morale) - primo indizio d'un mistificatorio biancore - confonda e disorienti, perturbi e illuda; fino a condurre verso mete estreme che hanno sembianze di libera (possibilità di) appartenenza ma la fottuta purulenta consistenza della condanna. Definitiva.
Come definitivo cala dall'alto dei bassi turpi cieli il candore assoluto d'una neve bellissima e purificatrice che ammanta di oblio l'aria e la terra, lavando peccati e coscienze e il sacrissimo insieme - precostituito e prostituito - delle cose tutte.
Viaggio allucinante, funereo, di fughe orrorifiche, vaghi andirivieni nella placida immobile "realtà" e moti inesplicabili, pervaso da un'oscurità urlante e un dolore lancinante trascesi da forma e sostanza nude, scuoiate, scarnificate; essenza vitale trasfigurata in spoglia mortale: Under the Skin denuda, profana, disseziona le liturgie e ritualità dei corpi/cadaveri (quello fisico, quello della/e civiltà, il corpo-Cinema).
Vivendo e usando come mezzo espressivo - come esperimento di un linguaggio sovversivo percorso da violentissimi spasmi e impulsi ossessivi dentro scenari primitivi e astratti - il corpo ("naturalmente" alieno) di Scarlett Johansson. Extra-terrestre (forse, indubbiamente, non importa), femmina e donna, diva e divina, oggetto e soggetto: ella cammina su nere acque (fonte di vita e nutrimento) - là dove gli esseri normali sprofondano docilmente -, si libra ebbra in uno stato di indeterminatezza "coinvolgente" e immersiva (poiché è lo stesso dell'occhio che guarda), erra vorace e ferina in mezzo a noi; figura cristica votata al sacrificio ultimo. Sacrificio carnale, in un post-tutto in cui la carne non può che essere artificio, prodotto di sintesi: un'altra vita, una vita altra. Sotto la pelle.
Racconto mortale e morboso, parabola (im)morale, potente allegoria parossistica che pensa/riflette/diaolga per (e con le) immagini - in movimenti fluidi e schizzi/assalti brutali, sospensioni oniriche e incubi vividi, riprese dal vero e scene statiche, "lente", innesti simbolici e deviazioni drammatiche -; ne risulta una (de)strutturazione del discorso per mezzo di una estetica estatica, estrema, destabilizzante, che oltrepassa qualunque convenzione per farsi essa stessa portatrice del senso (e dei sensi). Di un film che è un anti-film: fieramente (e coraggiosamente) lontano da obblighi e restrizioni della cosiddetta grammatica filmica, non spiega alcunché, ha un passo contorto e a tratti affannoso, pesante, lento (che i più tradurrano in "noioso") per poi bruciare in intere sequenze quasi metafisiche annegate in fondali monocromatici e bicromatici, è pochissimo parlato e raccontato, utilizza un sonoro opprimente e disarmonico, riduce al minimo la matrice narrativa subordinandola alla rappresentazione visiva, al significato del ritratto, all'importanza della luce (e della sua - parvenza di - assenza).
Under the Skin è visione cupa e raggelante, crudelmente illuminante e lucidamente amara, traumatica; instilla - e mette a - disagio. E cancella - con uno squarcio poetico finale di puro dolcissimo orrore - ogni residuo di (auto)assoluzione e liberazione.
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