Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film
Mascherarsi con altri occhi.
È lo sguardo che, in principio, prende forma. Seguono poi le parole, le prime parole: feel, field [...] pool, sell.
Sotto mentite spoglie l'occhio si trasforma in personaggio. L'alieno si nasconde nel corpo umano e comincia ad aggirarsi per le vie e per le lunghe e fredde strade della Scozia. La sua è una ricerca, o meglio, una caccia.
"Will You Come With Me?" sussurra una gelida Scarlett Johansson.
Under the Skin è un film che prova a guardare nel profondo, al di là di quello specchio che divide l'essere umano dall'essere alieno. Realtà e finzione danzano per tutta la durata della pellicola e gli interrogativi, con il passare del tempo, si fanno sempre più numerosi: chi siamo noi, gli osservatori o gli osservati? Cosa ha voluto comunicarci Jonathan Glazer con questa sua pellicola assai controversa?
Qual è, infine, il senso di una tale operazione?
"We needed to become familiar with what she does to then see what she does differently. So the repetition was… And also, with the space she takes the men to, it's the same space, but we see more. It reveals more of itself with each visit. So yes, I thought that repetition was a very important part of the film's structure."
(Jonathan Glazer)
Under the Skin si gioca tutto (o quasi) sulle sue ripetizioni. L'aliena, arrivata (non si sa bene come) sulla terra, si muove con il suo furgone fra le strade di Glasgow, alla ricerca di uomini. Si attua un piano di seduzione che conduce ad un luogo sconosciuto, un non-spazio dove anche il pavimento riflette l'oscurità. Un luogo non identificabile, dove tutto pare illimitato e dove l'uomo viene inesorabilmente trascinato, inghiottito e dimenticato.
Il gioco si ripropone in continuazione, sempre uguale a se stesso, se non per impercettibili cambi di rotta. Ma la ripetizione è importante, perché, così, il racconto (il non-racconto), nel suo continuo iterare, può lentamente svelare la sua natura.
E andiamo allora alla ricerca di questa natura, di questo senso profondo che prova a nascondersi nei gelidi occhi dell'estranea protagonista della pellicola.
Trovato qualcosa? Qualcosa che possa andare al di là della semplice impressione e giustificare il senso dell'ultimo lavoro del cineasta britannico? No perché Under the Skin sembra divertirsi molto a celare la sua forma reale, ma non è assolutamente detto che questa forma ci sia, o sia stata opportunamente trattata o approfondita.
Possiamo infatti parlare dell'indifferenza e della freddezza dell'alieno, del suo rendersi ambiguo oggetto/merce per catturare l'essere umano (per quale motivo, poi?); possiamo parlare della protagonista come di uno specchio che ha il compito di mostrare la crudeltà e la paura umana, e ancora, possiamo discutere di metacinema e dell'occhio alieno che si maschera e da così vita all'illusione. Tutto molto interessate, in principio. Ma cosa rimane alla fine, se non un senso di vuoto?
Troppi i momenti irrisolti, le scelte lasciate all'interpretazione del pubblico che, in reatà, non nascondono niente. Under the Skin sfocia, assai frequentemente, nell'eccesso di ambizione e di esibizionismo, dimenticandosi troppo facilmente di tutti quegli elementi che avrebbero potuto dare un senso a questa operazione.
L'occhio, per certi aspetti, rimane anche colpito: grande estetismo ed abilità nel trattare l'immagine e l'inquadratura, senza dubbio. Il problema è quando si passa all'interpretazione, quando è necessario tirare le somme. Ci si domanda, infatti se l'impalcatura visiva della pellicola sia effettivamente riuscita a supplire alla mancanza (o cattiva trattazione) dei contenuti. Ci si chiede, a conti fatti, se questa operazione di rarefazione volta all'irrisolutezza abbia realmente giovato al film.
Poco rimane al di là delle apprezzabili intenzioni e delle ottime scelte stilistiche che, però, non riescono a dare un peso reale a questo Under the Skin.
"Science fiction, I think, offers a good conduit for ideas, as a genre. So I am not against the genre at all. I think it's a great genre. But I like thinking of it as a starting point for this rather than working within the borders of the genre."
(Jonathan Glazer)
Under the Skin, dunque, parte dalla science fiction e finisce, poi, per allontanarsi dal suo stesso genere. Uno "starting point", come lo definisce lo stesso Glazer. Da quel punto di partenza dovrebbe avere inizio la differenziazione, l'entrata in campo dell'autore. Peccato, però, che l'autore in questione non abbia sfruttato a pieno le sue intenzioni e non sia riuscito, quindi, a sfruttare il genere di riferimento come il campo da gioco per il proprio cinema.
Tutto questo dispiace particolarmente perché le scelte, parlando da un punto di vista strettamente stilistico, sono assai apprezzabili. Visivamente, l'ultimo lavoro del regista britannico è assai raffinato: colpiscono l'occhio i freddi paesaggi della Scozia e l'altrettanto freddo spazio alieno dove la protagonista trascina le sue vittime. L'operazione di rarefazione, l'assenza di dialoghi e l'uso delle soggettive contribuiscono, sotto un certo punto di vista, a rendere l'esperienza il più possibile straniante, "aliena". Notevole e affascinante è poi la colonna sonora di Mica Levi (qui un esempio) come lodevole è l'interpretazione di Scarlett Johansson.
Si potrebbe dire, citando la recensione di Mark Kermode sul The Guardian (che è riuscito a dare la sufficienza al film), che questo Under the Skin "is the work of someone who is aiming for the heavens, but is unafraid to fall to Earth".
Jonathan Glazer ci ha provato ma, nel guardare troppo in alto, si è dimenticato delle basi, delle solide fondamenta sulle quali potersi poggiare, e ha disperso così tutte le potenzialità del suo terzo lungometraggio.
Si può ammettere che, in alcuni momenti, Under the Skin sia riuscito persino a colpire lo spettatore, ma questo non basta. Non basta se lo si paragona al senso di inconcludenza e di eccessiva ambizione che ha caratterizzato l'opera in tutta la sua durata complessiva.
Si può ammettere, in fin dei conti, che qualcosa è rimasto e si è fatto apprezzare, ma non è comunque abbastanza.
Almeno per me.
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