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The Host

Regia di Andrew Niccol vedi scheda film

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La recensione su The Host

di M Valdemar
4 stelle

Un'aliena di nome Wanda.


Che tortura il chiacchiericcio continuo tra l’occupante da un altro mondo e l’occupata che non si vuole arrendere. Dall’iniziale sollazzo si passa presto all’irritazione.
Stato che perdura lungo tutta la visione per via di una storia scontatissima e pedante in ogni sua diramazione (pseduo)filosofica e analitica. I toni sono quelli (saccenti) della fantascienza “pensante” e “intelligente”, che racconta realtà future alternative per disquisire/sentenziare sull’attuale stato delle cose. Missione fallita, sempre che gli intenti fossero realmente quelli.
Trama che frana allegra e spensierata sotto i colpi rozzi di una sceneggiatura tanto pretenziosa quanto bislacca (l’origine “letteraria” è nota: non si può ricavare luminosità da una lucciola putrefatta).
The Host è noioso e faticoso da seguire, malgrado la semplice nonché esilissima tessitura di richiamo (o forse proprio per questo): i fili della narrazione, tutt’altro che interessati a ordire riflessioni acute, si attorcigliano confusamente, ma in modo del tutto standardizzato, per creare l’ennesima veste cool per adolescenti.
Andrew Niccol, evidentemente arresosi ancor prima di cominciare, si limita a sviluppare il soggetto lungo una rotta convenzionale e ricca di elementi riciclati. Il risultato, anziché costituire un modello nuovo e felice su un tema risaputo come quello della conquista della Terra da parte di creature aliene, è, molto più banalmente, la classica corsetta ad ostacoli per giungere alla libertà e, naturalmente, all’amore. Sentimento che “non può” prescindere dall’ancor più classico triangolo (sebbene virato in delirio da doppia personalità, figurarsi …).
Insomma è la sua versione (“sua” della famigerata Stephenie Meyer con la complicità del più “presentabile” e ben remunerato Niccol) del celebre capostipite del 1956 firmato Don Siegel, aggiornato ai tempi (infausti) e alle mode/manie (sempre più decerebrate).
Si potrebbe definirlo “l’invasione degli ultrasospirosi”.
Ebbene sì: componente amorosa filtrata, ripulita, perbene, tra difficoltà, imprevisti (che fortuna avere un corpo umano non risvegliato da far occupare all’aliena redenta), siparietti degni di bestialità simili (le reciproche gelosie di invasore e invasa, entrambe invasate), e via di questo felpato prudentissimo passo.
Non che il resto sia più accettabile. Niccol, ben lungi da dare un minimo di profondità alla storia e ai suoi protagonisti, soprattutto riguardo i biancovestiti alieni che girano in auto luccicanti e griffate (c’è pure un concorso annesso al film della marca ben bene pubblicizzata), non propone nulla di interessante: la messa in scena è stanca, la ricostruzione di ambienti è scarna e sbrigativa, l’estetica non seduce mai.
Persino sul (prevedibilissimo) finale c’è da obiettare: perché appiccicarne un altro (“sei mesi dopo”) che non aggiunge nulla
Che ingenui: The Host ha da continuare ...
Riesce, per quel che può, a porre parziale rimedio al brutto pasticcio fantascientifico/sentimentale, la presenza della sempre notevole Saoirse Ronan, ammorbata da una parte imbarazzante; mentre la cattiva Diane Kruger è già un essere “perfetto” senza gli occhi fluorescenti e gli abiti candidi. Sparisce purtroppo verso la fine (indirizzata verso un tranquillo cielo stellato e gonfio di bontà): un peccato perché il suo era il personaggio più sfaccettato e intrigante, in precario equilibrio tra rigidità angelica e schizzi di furia tutta “umana”. William Hurt, zio di Saoirse nonché capo illuminato e ieratico dei ribelli, timbra il cartellino da solerte impiegato. Del tutto superflui i due uomini che si contendono le anime site nello stesso corpo, Max Irons (sì, figlio di Jeremy, per l’anagrafe non certo per la bravura) e Jake Abel. Compare nei minuti conclusivi, in un ruolo che sarà senz’altro sviluppato nei seguiti (è il nuovo ospite umano di Wanda), la diafana Emily Browning (l’”eroina” di Sucker Punch).
Inserito a ragion veduta - nella cerchia di saghe che sostituiranno quella celeberrima dei vampirelli by Meyer, The Host non deluderà le aspettative del pubblico di riferimento.
Con buona pace di un Andrew Niccol dalla preoccupante parabola discendente.









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