Trama
Scappata dagli orrori della Germania nazista, la filosofa ebreo-tedesca Hannah Arendt nel 1940 trova rifugio insieme al marito e alla madre negli Stati Uniti, grazie all'aiuto del giornalista americano Varian Fry. Qui, dopo aver lavorato come tutor universitario ed essere divenuta attivista della comunità ebraica di New York, comincia a collaborare con alcune testate giornalistiche. Come inviata del New Yorker in Israele, Hannah si ritrova così a seguire da vicino il processo contro il funzionario nazista Adolf Eichmann, da cui prende spunto per scrivere La banalità del male, un libro che andrà incontro a molte controversie.
Approfondimento
HANNAH ARENDT: IL PROCESSO A EICHMANN E LA BANALITÀ DEL MALE
Hannah Arendt di Margarethe von Trotta ripercorre nel dettaglio i quattro anni (dal 1961 al 1964) durante i quali la scrittrice, giornalista e filosofa Hannah Arendt, interpretata dall'attrice Barbara Sukowa, assistette a Gerusalemme al processo contro il nazista Adolf Eichmann e, da ebrea tedesca, fu costretta a fare i conti con i dolori del proprio passato. Fuggita dalla Germania nazista nel 1933, la Arendt aveva trovato nuova vita e successo professionale negli Stati Uniti ma continuava a sentirsi un'estranea ovunque andasse. Il processo ad Eichmann le fornì l'occasione per scrivere con termini nuovi dell'Olocausto, scuotendo il mondo con ciò che definì la "banalità del male". Il suo lavoro, sin dalla prima pubblicazione, suscitò però polemiche e attacchi sia da parte degli amici (i più dolorosi per la Arendt furono quelli di Kurt Blumenfeld, il presidente della Federazione sionista tedesca, e di Hans Jonas, amico sin dai tempi dell'università) sia da parte dei nemici.
Il film Hannah Arendt comincia nel momento in cui Hannah apprende che i servizi segreti israeliani hanno rapito Eichmann a Buenos Aires per portarlo a Gerusalemme. Determinata a riferire del processo, Hannah trova da una parte l'entusiasmo di William Shawn, il direttore della rivista The New Yorker per cui lei lavora, e dall'altra la perplessità del marito Heinrich Blücher (Axel Milberg), preoccupato per la scossa emotiva che potrebbe investirla.
Una volta a Gerusalemme, Hannah viene però sorpresa sin dal suo primo ingresso in aula: aspettandosi di ritrovarsi di fronte a un mostro, ha invece davanti a sé un signor "nessuno" le cui mediocrità e obbedienza agli ordini fanno a pugni con le azioni commesse. Rendendosi conto che il vero enigma da risolvere è il contrasto tra l'apparenza di Eichmann e il male che in lui alberga, Hannah torna a New York, dove comincia a discutere della sua innovativa interpretazione con l'amico Hans Jonas, colui che per primo la avverte del fatto che il suo approccio filosofico potrebbe solo generare confusione. Convinta di essere sulla strada giusta, Hannah - per due anni e grazie al confronto/dibattito con l'amica Mary McCarthy (Janet McTeer), con la ricercatrice tedesca Lotte Köhler (Julia Jentsch) e con il marito Heinrich - si dedica anima e corpo alla stesura del reportage che, una volta pubblicato sul The New Yorker, provocherà uno scandalo internazionale immediato.
VITA DI HANNAH ARENDT
Nata il 14 ottobre 1906 ad Hannover (e morta il 4 dicembre 1975 a new York), Hannah Arendt crebbe con i genitori ebrei, che le impartirono le loro idee socialdemocratiche, studiò filosofia e teologia a Marburg e a Heidelberg e ebbe tra i suoi professori Karl Jaspers, Edmund Husserl e Martin Heidegger, con il quale fu anche legata sentimentalmente (in Hannah Arendt il legame tra Hannah e Heidegger viene ripercorso attraverso pochi flashback importanti per comprendere meglio il passato e la formazione della scrittrice). Sposata dal 1929 al 1927 con il filosofo Günther Anders, la Arendt nel 1933 fuggì a Parigi dopo un breve periodo di prigionia voluto dalla Gestapo. Nella capitale francese, lavorò per la Youth Aliyah, un'organizzazione ebraica che contribuì a salvare migliaia di bambini ebrei facendoli emigrare in Palestina, e incontrò nel 1937 Heinrich Blücher, un ex comunista che poi sposò nel 1940. Dopo l'internamento nel famigerato campo di detenzione di Gurs, nel 1941 Hannah emigrò con la madre e il marito negli Stati Uniti, ottenendo la cittadinanza americana nel 1951, lo stesso anno in cui pubblicò Le origini del totalitarismo, uno studio completo dei regimi nazista e stalinista. Il successo del libro la portò ad insegnare in varie università (Princeton, Harvard e Chicago) e le aprì la strada per un secondo studio, La condizione umana, dato alle stampe nel 1958.
Le critiche al suo reportage per il The New Yorker sul processo a Heichmann non si placarono neanche dopo la pubblicazione di Eichmann a Gerusalemme: Un rapporto sulla banalità del male, testo ritenuto tra i suoi più importanti e quasi sempre citato in tutte le discussioni sull'Olocausto.
ATTINENZA STORICA E FILMATI D'ARCHIVIO
Abituata a confrontarsi con figure femminili dalla forte valenza storica (Rosa Luxemburg, Hildegard von Bingen o le sorelle Ensslin, per fare degli esempi), la regista Margarethe von Trotta per il suo ritratto di Hannah Arendt non solo ha fatto affidamento sui libri e sulle lettere scritte dalla giornalista e filosofa ebrea ma è anche ricorsa alle testimonianze di chi la Arendt l'ha conosciuta o incontrata, scoprendo come dietro vi fosse una donna affascinante, spiritosa e piacevole.
Per la sceneggiatura, frutto di tre anni di lavoro, la von Trotta ha invece potuto contare sull'aiuto (a distanza) della statunitense Pam Katz, con cui in precedenza aveva collaborato per Rosenstrasse e Ich bin die Andere.
La von Trotta ha scelto inoltre di catturare il "non pensiero" di Eichmann attraverso le immagini d'archivio e in bianco e nero del processo, convinta di poter mostrare la "banalità del male" osservando direttamente il vero Eichmann e non un attore.
Note
Tra flashback del passato con Heidegger e feritoie sulla storia, Von Trotta recupera una narrazione frontale della quale si è ormai persa traccia, dilatando i tempi fino a farli coincidere con quelli del pensiero e costruendo le inquadrature secondo geometrie rigide, impaginando la narrazione sfruttando al meglio le potenzialità dei carrelli e della camera fissa. Niente fronzoli: l’elaborazione arendtiana di "La banalità del male" necessita di altrettanta, efficace banalità in regia, per poter affidare le chiavi dell’opera a una sceneggiatura che adotta il punto di vista privilegiato e convinto della filosofa per ribadire quanto il male superi l’individuo e lo schiacci sotto il peso di un sistema malato.
Trailer
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Commenti (6) vedi tutti
Ritratto femminile, ma non solo: un viaggio nei sensi di colpa di un popolo in uno dei suoi momenti più devastanti 7/8 RAZIONALE
leggi la recensione completa di luca826Film molto bello della von Trotta al suo meglio. Bravissima la Sukowa a rendere la filosofa. Bella la ricostruzione dell'ambiente degli ebrei tedeschi in America durante gli anni del processo Eichmann. Reso benissimo il pensiero della Arendt. Forse un po' esagerata la figura di Jonas.
commento di ENNAHMargarethe von Trotta estende la propria rassegna filmica sul Secolo Breve implementando una pellicola storico-biografica su Hannah Arendt.
leggi la recensione completa di IlGranCinematografoUn film piatto, forse volutamente banalizzante, un biopic che resta sulla superficie dei fatti, dei caratteri, delle motivazioni.
leggi la recensione completa di yumeNon è facile realizzare un film sul pensiero. Questo è l’intento della regista: non biografia della filosofa né ricostruzione del processo ad Eichmann, ma il racconto del periodo della vita di Hannah che ruota intorno al processo di Gerusalemme per esplicitarne il pensiero, riprodotto nei dialoghi e nelle lezioni universitarie con cura filologica.
leggi la recensione completa di giammazUn bel film che tratta di una donna intelligente che ha avuto il coraggio delle proprie idee contro tutto e contro tutti. Poveretta l'attrice costretta a fumare dall'inizio alla fine!
commento di Artemisia1593