Regia di Pierfrancesco Diliberto vedi scheda film
Non contraddice la precedente esperienza televisiva l’esordio cinematografico di Pierfrancesco Diliberto, condividendo con il Testimone lo sguardo vagamente ingenuo dell’autore, che diventa filtro in prima persona delle vicende narrate. Se in tv Pif si fa veicolo di un’esperienza anomala dalla quotidianità mettendo in scena lo stupore di fronte a novità paesaggistiche, comportamentali o culturali narrando il proprio divertito straniamento, il film, al contrario, si confronta con la quotidianità anomala di un microcosmo sotto influenza. Lo straniamento diventa paradossale e trasferito sullo spettatore, mentre il protagonista sembra non accorgersene per tutta la durata degli eventi e, quindi, della propria vita; il divertimento si applica al suo personaggio proprio per quell’implacabile ingenuità che sembra accompagnarlo incondizionatamente, e la cronaca di una società familiare e cittadina dai comportamenti strani si trasforma in metafora di una nazione sotto assedio partecipe, di uno stato che ha abdicato alla trasparenza. Diliberto è ancora al centro della narrazione e se ne fa riflesso, accompagnandola con il commento fuori campo, ma lo specchio della realtà diventa deformante per rendersi progetto cinematografico, elaborazione finzionale coerente ed autonoma.
Prendendo alla lettera la professione di testimone, Pif intreccia le vicende personali del suo protagonista, Arturo, con la storia di Palermo e, di conseguenza, con la Storia d’Italia degli ultimi 40 anni, con l’ascesa della prepotenza mafiosa e i tentativi di resistenza di alcune parti dello Stato. Il gioco di rimandi parte dal concepimento stesso del protagonista, influenzato da una sparatoria nel palazzo dei genitori, e si intreccia ai delitti più sanguinosi ed emblematici di Falcone e Borsellino, La Torre o Giuliano attraverso una storia d’amore indefessa e concitata, contrastata dalle vicissitudini dei palermitani e dalle stragi mafiose. Il punto di vista prevalentemente infantile permette un approccio più informale e favolistico, che però non attenua l’efferatezza degli episodi citati. Come un Pinocchio nel paese dei delitti, Arturo deve imparare a vedere il mondo nella sua concretezza, pagandone spesso le conseguenze, mentre Pif trova paragoni di sofferto divertimento per mettere in berlina anche la spietatezza mafiosa, come il boss che impara ad usare il telecomando del condizionatore appena prima che un simile comando a distanza trucidi Falcone.
Benché il tono si voglia leggero, il sorriso spesso si fissa in ghigno di dolore di fronte alle atrocità mostrate, mentre il protagonista sembra vivere tutto con l’ingenuità di Pif, autore tv, di fronte alle stranezze del mondo. Arturo, come il suo interprete, è testimone di quanto avviene, ma il senso del suo racconto diventa narrazione morale proprio per l’entità degli eventi mostrati sullo sfondo. La mafia uccide solo d’estate, ad immagine del suo stralunato titolo, è un lento e grottesco apprendistato di una dignità personale infine conquistata, del rispetto degli uomini integri e del loro sacrificio di fronte ad un’istituzione criminale e tristemente parastatale, che si traduce in invito ad una dignità pubblica nel riconoscimento di un’etica da tramandare. A nuove generazioni che potranno, potendo, essere più consapevoli, liberandosi dai lacci dei luoghi comuni e delle complicità implicite ed esplicite della gente, da incallite attitudini omertose e dall’abitudine all’indifferenza. Cinematograficamente, Pif si rifà all’esempio di Zemeckis che, con Forrest Gump, creava un personaggio-palinsesto per attraversare la storia d’America da spettatore, mentre diventava l’ignaro protagonista di numerosi avvenimenti storici. Riprendendo l’ingenuità del personaggio, ma aggiungendovi una necessaria maturazione e una progressiva presa di coscienza, Pif fa di Arturo un emulo italiano, come Forrest alla estenuante conquista della sua anima gemella, individuata già nell’infanzia ma allontanata da quella storia che entrambi percorrono e li trascina, separandoli; e come Zemeckis, anche Pif mescola filmati d’epoca e riprese mascherate, finzione e storia, contestualizzando le disavventure amorose nelle vicissitudini del Paese. Perché anche Arturo è spettatore di vari eventi, spesso luttuosi e delittuosi, ne è influenzato e vittima indiretta, ne ha la vita condizionata e determinata sino alla ribellione della coscienza che tutto rilegge. Solo così l’inerme osservatore diventa anche parte reattiva, senza l’ignoranza che la semplicità di Forrest autorizzava ma che in Arturo sarebbe diventata soltanto passiva complicità.
Commedia amara e dolce, La mafia uccide solo d’estate è un esordio intelligente e sensibile, divertito e impegnato che fa dell’accostamento tra pubblico e privato e del paradosso il nucleo fondante e l’allegoria di un paese allo stremo della propria coscienza ma che, alla fine, scopre che può averne una rifiutando la comodità dell’indifferenza.
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