Regia di Pierfrancesco Diliberto vedi scheda film
Pif, abbreviativo di Pierfrancesco Diliberto, ve lo ricorderete dai tempi delle Iene, quando, con quella sua aria ingenua e garbata, il sorriso smagliante e l'andatura dinoccolata, settimana dopo settimana metteva a segno servizi e interviste irriverenti, sempre confezionati con impeccabile aplomb. Le stesse caratteristiche che ritroviamo in questo suo primo lungometraggio, che fin dai titoli di testa dichiara di non aver dovuto pagare il pizzo a nessuno per ottenere i fondi necessari. Stavolta alla berlina ci finisce la mafia, quella palermitana che lui, classe 1969, conosce bene proprio per essere nato e vissuto nel capoluogo siciliano. Un po' racconto di formazione, un po' melodrammore, il film racconta l'irrompere della mafia, suo malgrado, nella vita del protagonista, uno che fin da piccolissimo aveva il mito di Andreotti e il poster del divo Giulio nella cameretta. L'infanzia, l'adolescenza e l'età adulta del protagonista Arturo vengono segnate dall'inseguimento perenne di un amore impossibile, quello per Flora (Capotondi), prima sua compagna di scuola e poi assistente di Salvo Lima.
A Pif va riconosciuto il grande merito di aver saputo ricostruire gli anni più drammatici dell'inasprimento dell'offensiva mafiosa, quelli che avrebbero condotto all'assassinio di Dalla Chiesa, Chinnisi, Falcone e Borsellino nonché al maxiprocesso, senza mai scherzare sulle vittime ma stilettando bordate a 32 denti contro gente come Riina, Brusca e Provenzano. E se il racconto a tratti arranca e lo stile registico è ancora acerbo, benché mostri grande immaginazione (vedi il montaggio alternato della corsa all'ovulo degli spermatozoi che lo avrebbero concepito e quella in strada delle auto che avrebbero compiuto una delle prime stragi mafiose), al neo-regista va dato atto di essere riuscito a mandare un messaggio dai contenuti forti e chiari, in un connubio ottimale di intelligenza contenutistica e senso dell'umorismo.
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