Regia di Pierfrancesco Diliberto vedi scheda film
Questo bel e importante film di Pierfrancesco Diliberto, meglio conosciuto come Pif, è innanzitutto una storia d’amore. Di chi è cresciuto in una città come Palermo, e nonostante tutto, è riuscito a ritagliarsi lo spazio, il tempo e il modo di amare, la città e i suoi abitanti.
Il titolo del film, che poi è una frase pronunciata dal padre del bambino protagonista, allude a quella dimensione in cui viveva la popolazione palermitana, nei primi anni ‘70, quando cioè tutti erano consapevoli della presenza della Mafia, finendo, però, col considerarla un’attività estranea.
Si tratta di un racconto lungo vent’anni, scritto, letto e visto attraverso lo sguardo di un bambino, Arturo, che diventa grande, anche fra le brutture, non perdendo mai lo slancio per la vita, vissuta con passione e dettata dalla legalità. Infatti, Arturo, descrive tutti i suoi molteplici tentativi per conquistare il cuore della sua amata, Flora, una compagna di banco di cui si è invaghito da quando frequentava le scuole elementari. Nel frattempo, però, ad accompagnare questa sua/loro storia, ci sono i fatti di cronaca, accaduti in Sicilia tra gli anni ‘70 e ‘90.
Il film di Pif diverte e fa pensare, un’impresa gigantesca, ormai, in un Paese che vive il riso, anche, anzi soprattutto a cinema, come espediente per non pensare, al modo di quello che solitamente si continua a fare attraverso la politica, la scuola e nei luoghi deputati al pensiero.
Quello di Pif è anche un modo nuovo di raccontare la mafia, che non ammicca, non è furbo, alla maniera di certa falsa letteratura che, sul tema, tira. Perché La mafia uccide è un film che dissacra davvero i boss, citandoli con tanto di nomi e cognomi, ma soprattutto riesce a restituire la giusta eroicità agli uomini e alle donne che hanno fatto della lotta dell’antimafia la loro bandiera.
Il regista, classe ’72, da tutti più conosciuto come giornalista di “Le Iene” e di “Il Testimone”, che da sempre è impegnato a rivelare il marcio che dilaga nel nostro Paese, utilizzando uno stile giornalistico tutto suo, con l’incedere nei confronti degli intervistati, con domande brucianti e senza scampo, non è un pivellino del cinema, avendo collaborato con Marco Tullio Giordana, per I cento passi (2000). E in questo film ci si accorge di quelle che potrebbero essere solo delle buone premesse…
La mafia uccide… sorprende, perché da un regista siciliano, che ha l’ardire di raccontare per l’ennesima volta la Mafia, il rischio della retorica era connaturato alla scelta del soggetto, e invece è proprio il modo scelto per affrontare un tema spinosissimo, che conquista di Diliberto: racconta la Mafia per quello che é. Pif si compenetra nella mentalità dei mafiosi e in quella della società civile, crescendo, fino a diventare egli stesso il padre che, a sua volta, dovrà continuare a condurre la dura battaglia dell’antimafia. Eppure, le ossessioni di Arturo non sono tutte dettate dalla ‘buona condotta’, a parte l’amore per la compagna di classe, Flora, ma che dire della sua morbosa passione per Giulio Andreotti? Un mito per lui, anche rispetto allo stesso racconto che il senatore fa a proposito di come ha chiesto alla moglie di sposarlo, durante una visita a un cimitero romano.
Il film è un racconto eccezionale, anche rispetto al susseguirsi di omicidi, ammazzamenti, stragi, bombe e attentati, che cicatrizzano la storia della Sicilia, dal 1969 e al 1992, dalla strage di Via Lazio con la quale Riina dà inizio alla sua guerra agli altri boss, fino agli attentati che costarono la vita ai giudici Falcone e Borsellino. E’ come se, alla fine della visione del film, sulla pelle degli spettatori restasse una ferita ancora bruciante, rispetto alle morti di Boris Giuliano, Vito Chinnici, Pio LaTorre, Carlo Alberto Dalla Chiesa e tutti gli altri della lista, servitori dello Stato, immolatisi sull’altare della legalità e rimasti anonimi.
Inoltre, l’essersi concesso, Diliberto, di sbeffeggiare l’ignoranza degli uomini di potere, compresi i boss mafiosi, rendono plausibile che un film come il suo possa far rumore più dei tanti congressi politici, o meno, ma comunque inutili. Questo film deve poter diventare un film di culto, da proiettare alle scoleresche, perché lo vedano alunni, senza evitarlo gli adulti docenti, accanto ad altri film imprescindibili, come I cento passi, Alla luce del sole (2005) e pochi altri film seri e validi come questi. Se Diliberto continua così, avremo un altro bravo regista italiano, anch’esso fra i pochi, nel Paese che continuiamo a meritarci, anche rispetto al cinema, soprattutto che fa ridere…
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