Regia di François Ozon vedi scheda film
La limpida complessità di un film estremamente classico come Nella casa non è né riducibile ad una metafora sui turbamenti della borghesia, come pure è in buona parte, né possibile da spiegare in maniera semplice o banale. Come spesso capita a François Ozon, il più eclettico dei registi del cinema francese contemporaneo, è un adattamento teatrale e non è un particolare secondario: Nella casa è un film sulle parole e sul loro peso, sulla persuasione della narrazione, sul talento della scrittura, sul racconto che si fa vita e viceversa, sul potenza dell’immaginazione e della rielaborazione della realtà.
Non è facile costruire un film attorno ai testi, per quanto essi siano filtrati dalla voce del professore, un aspirante Pigmalione, ed abitati dalle immagini, per certi versi teatrali, dello studente/scrittore-vittima/carnefice all’interno della casa in cui decide di sovvertire il sistema familiare: e così tanto la tensione resta sempre alta grazie all’evocazione della storia raccontata quasi alla maniera di feuilleton nella sua dimensione a puntate (meccanismo assai praticato da Gustave Flaubert, a cui la scuola in cui esercita il professore Germain è intitolata e i cui romanzi lo stesso docente presta allo studente Claude), quanto l’azione trova una sua audacia nell’intervento di Germain nelle sequenze dentro la casa alla stregua di un grillo parlante o di un commentatore a piè di pagina.
Il film è sconquassante nella sua controversa linearità, nella sua fertile arditezza, nel suo costruire e distruggere nell’arco di una sequenza, nel suo inganno perpetuo che è forse indiscutibile attendibilità: rincorrendo lo schema logico della fabula che si impara a scuola (situazione iniziale, rottura dell’equilibrio, peripezie, scioglimento, coda) con l’ambizione di una chiarezza impossibile benché agognata, è una sorta di saggio sull’arte del racconto (o forse un sublime esercizio di stile) in cui avviene sia lo scontro tra il lettore che si fa editore e lo scrittore che si fa strumento sia la proiezione di un vecchio fallito su un giovane in erba. È anche una parabola sulla noia della borghesia e sul tentativo di sconvolgerla attraverso la seduzione, un po’ alla Teorema del citato Pasolini, ma è una sovrastruttura che maschera il reale interesse scientifico di un’opera che, a parte qualche disorganicità sparsa, merita un posto d’onore nella carriera di Ozon. Immenso Fabrice Luchini, strepitoso Ernst Umhauer, spericolata Kristin Scott Thomas.
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