Regia di François Ozon vedi scheda film
Jeanne (Kristine Scott Thomas) e Germain (Fabrice Luchini) sono una coppia borghese apparentemente tranquilla. Lei, gallerista sull’orlo di una crisi di nervi a causa dell’ imminente messa in vendita della galleria alla quale ha donato la propria vita; lui, scrittore mancato e vagamente frustrato, insegnante di letteratura in un liceo. Il tranquillo ménage della coppia, senza figli, viene solleticato da un intraprendente e acuto ragazzino, Claude Garcia (Ernst Umhauer) che dimostra di saperci fare con la scrittura e che a partire da un tema comincia a narrare del suo progressivo assorbimento nella famiglia di un compagno di classe un po’ sempliciotto e della seduzione esplicita della bella e insoddisfatta madre (borghese) di lui, Esther (Emmanuelle Seigner)
Gli scritti vengono letti dal professore che mette al corrente la moglie delle varie “puntate” del tema del ragazzo . Piano piano un interesse morboso avvolge entrambi i coniugi che aspettano con trepidazione e curiosità ogni sviluppo della vicenda.
Ho cominciato a parlare degli attori perché sono straordinari. Riassumono in ogni sguardo e in ogni gesto, l’elettrico nervosismo del fallimento soffocato dalle convenzioni borghesi. E proprio della borghesia che si prende gioco Nella casa, di un Ozon sempre a suo agio nelle storie sospese tra il noir e lo sberleffo, dai toni della commedia inoculati in un crudele gioco al massacro che non risparmia nessuno.
Nella casa, alla cieca potrebbe essere un titolo di un film horror e in effetti la tensione (alternata) che si avverte, mutua una variazione sul tema, scherzosa (ma non troppo) de La Finestra sul Cortile ( 1954) di Hitchcock, più un esplicito riferimento al capolavoro della sociopatia a tinte horror, Il buio nella mente (1995) di Claude Chabrol .
E un po’ in penombra lo è di sicuro Claude, tagliente ragazzino dall’intelligenza virata verso il lato oscuro della personalità ma consapevolmente dotato di quelle doti che viste dall’esterno confondono circa la sua vera natura, disagiata, manipolatoria, criminale allo stato embrionale. Bello e ombroso, a suo modo cool, sensibile a comando e dotato di un talento per la scrittura che risveglia le ambizioni assopite dell’insegnante, disposto a tutto per aiutarlo in una cieca discesa verso la consapevole autodistruzione.
Cinema meccanico, a orologeria, un po’ prevedibile ma assolutamente affascinante. L’ingresso del ragazzo nella vita altrui , sia fisicamente nella famiglia del compagno di classe, che nella famiglia del professore attraverso i suoi scritti , ha l’effetto del catalizzatore di tensioni inespresse, rancori sommessi e ambizioni soffocate che una volta riemerse dalla melma del quotidiano spezzano inevitabilmente i deboli equilibri faticosamente instaurati.
Su tutto questo aleggia un divertito gioco meta letterario tra la verità della finzione cinematografica e la finzione degli eventi descritti dal ragazzo nei suoi temi nei quali sbertuccia impunemente la famiglia borghese del compagno di classe. Manipolazione, personaggi e persone si sovrappongono perdendo di consistenza e divenendo semplici figure in balia della follia condivisa del professore e del ragazzo, tra i quali aleggia ancora una volta l’ambiguità di un rapporto sospeso tra il figliale e l’omosessuale.
Un gioco difficile da dirigere, ma tenuto ben saldo da Ozon, scandito da un ritmo ripetitivo-ossessivo, quasi ipnotico della scansione degli eventi.
Tutto il film è giocato abilmente sull’equivoco delle sfumature, il non detto e gli squarci nel racconto durante i quali potrebbe essere successo qualcosa di importante ma che ci viene costantemente negato. I personaggi sono afflitti da un desiderio voyeuristico che coinvolge lo spettatore stesso. Cosa stiamo guardando veramente? Cosa è falso e cosa è vero? Chi è la vittima e il carnefice tra il professore e il ragazzo?
Oltre alle convenzioni borghesi sono i classici della letteratura a venire sottoposti ad un vero e proprio fuoco di fila, imposti come esempi sul quale il ragazzo deve modulare i propri di racconti – inventati o verosimili che siano – .
In realtà Ozon mostra tutta la decadente ambiguità del meccanismo della scrittura che si nutre di materia umana e dell’interpretazione del capolavoro, che è sempre, come il peccato, solo negli occhi di chi guarda (o legge). Il dirigere Claude verso il verismo o il melò, e ai momenti surreali nel quale i personaggi irrompono fisicamente nella lettura del tema a puntate, comporta la variazione in cabina di regia di Ozon stesso che adegua lo stile applicato all’immagine al tenore delle vicende narrate. Si forma così un corto circuito spiazzante, molto divertente, citazionista e colto di tutte le possibilità che il cinema mette a disposizione per creare l’affabulazione.
Un labirinto di specchi che spariglia l’orizzonte e i punti di riferimento. Ovvero, l’inganno dei sensi. Proprio come fa Claude.
Che sia un alter ego del regista?
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