Regia di Franck Khalfoun vedi scheda film
L'essere umano nel vortice dell'orrore.........
"Maniac" è l'emblema di cio', una paranoia asfissiante figlia di un passato traumatico, col protagonista Frank come "extrema ratio" di un dolore inguaribile......
Il regista Frank Khalfoun si serve della vis emaciata di Elijah Wood per inscenare questi abissali paradossi dell'animo,partendone dal profondo e "utilizzandole" come remake dell'omonimo cult di William Lustig del 1980.Il film di Lustig si presentava come il classico horror "B movie" in stile prettamente "80'S",naif e puramente "artigianale",dotato pero' di una forma morbosa ancora oggi inarrivabile.Oggi l'eclettico Lustig figura come produttore del suo "clone",figurandone la vicenda nella periferia di Los Angeles ,dove vive il disadattato Frank,restauratore di manichini e proprietario di uno storico magazzino di famiglia.
L'incipit non lascia spazio a dubbi,non parte in sordina come il piu' classico dei thriller,ma ci presenta lo "sguardo" allucinato di Frank attraverso una telecamera dal respiro fortemente "voyeuristico".
I titoli di testa portano con se uno strazio inenarrabile delle carni,di lame acuminate che trafiggono e affliggono corpi di giovani e bellissime donne.......
Quello che si denota dal principio è un fortissimo uso della soggettiva,una camera a mano che letteralmente "tampina" le vittime,divorandole quasi nell'essenza umana.Frank agisce cosi' sia da killer che da puro "spettatore",vittima di una psicosi conclamata che lo inaridisce dall'interno.La figura di Frank è cosi' stagliata nei riflessi degli specchi,egli (e noi spettatori) è quasi costretto a "spiare" le vittime, ad osservarle come "oggetto" su cui sfogare ataviche perversioni.E' inquietante l'utilizzo da parte della regia di una cinepresa che non è altro che "l'occhio" di Frank, dove tutto appare rarefatto di gelo e dolore,dove il magazzino dei "manichini" è una scatola di ricordi nefasti,ma sopratutto il contenitore di "sculture" aberranti, dove gli scalpi femminili sono l'unico contatto con la vita stessa.
Elijah Wood si presta coraggioso ad interpretare una figura controversa,con vis giusta e paranoica intensita' egli è ancora il bambino ferito e abbandonato da una madre degenere, un "flusso di ricordi" mai sopiti che noi e Frank vediamo attraverso una feritoia.Tutto cio' è emblematico nel chiarire le difficolta' di Frank nell'instaurare relazioni con l'altro sesso,anche se sopraggiunge la figura della fotografa Anna (la stupenda Nora Arnezeder) a "schiarire" il buio dell'abisso.
L'incontro con Anna rappresenta una svolta filmica,fino ad ora abbiamo assistito alla cruenza delle azioni di Frank,dipinte come il tentativo di "mistificare" e di riappropriarsi di una figura materna che gli è sempre mancata.Le sue vittime sono infatti archetipiche in tal senso,con connotati fisici similari a quelli della madre.La dolce Anna rappresenta dunque per lui una sorta di "cambiamento",un femminino piu' puro e astratto,artistico nel senso stretto del termine.La giovane fotografa si dimostra interessata a Frank,alla sua sensibilita' artistica,ma sopratutto ad una timidezza conclamata che è merce rara negli uomini contemporanei.Dal canto suo Frank s'illude d'aver trovato finalmente una donna che lo comprenda,ma tutto cio' viene smontato durante l'allestimento di una mostra di fotografie di Anna,scattate nel magazzino di Frank con lui intento a restaurare un "manichino".La scoperta da parte di Frank della relazione di Anna con un musicista defrauda le velleita' sentimentali di quest'ultimo risvegliandone il feroce impulso omicida.A questo punto la piega di "Maniac" appare fredda e incontrollata,come le azioni di Frank e le improvvise e "appannate" emicranie a testimoniare un inconscio senza autocontrollo.
La regia di Khalfoun si potenzia cosi' di un immaginazione "gore",intrisa di uno "splatter" senza freni inibitori,tuttavia nonostante la confezione levigata e lo scorrimento filmico veloce (e a tratti scontato),"Maniac" appare come un prodotto piu' che discreto,un "Thriller" atipico dove non è la caccia al killer a far la differenza,ma bensi' l'orrore celato al suo interno.
E infatti l'orrore non ci viene risparmiato,nell'omicidio come nelle inquietanti sequenze del magazzino assistiamo ad un film morboso nella forma (e nell'azione) dove il linguaggio registico è celato nella psicologia deviata del personaggio,con la figura della dolce Anna come "deus ex machina" che destabilizza un interiorita' sconvolta.A differenza di altri thriller qui non vi è la classica "caccia al killer" e neanche il sottofondo d'indagine che caratterizza i classici del genere,la vita di Frank è una corsa su un ottovolante dell'orrore con noi spettatori a "farne le veci",ad osservare lo scempio inenarrabile compiuto sull'epidermide di bellissime donne.
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