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Quartet

Regia di Dustin Hoffman vedi scheda film

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La recensione su Quartet

di laulilla
6 stelle

Questo piccolo film, che nel 2012 inaugurò il Torino Film Festival, ha richiamato nel tempo numerosi spettatori, in parte per la sua semplicità, in parte anche per le sue qualità non disprezzabili.

 

Questo è un piccolo film,  trasposizione per il cinema di una commedia teatrale di Ronald Harwood, che l’ha adattata al grande schermo, scrivendone la sceneggiatura, per la regia di Dustin Hoffman, il grande attore che, all’età non proprio verdissima di 75 anni, ha provato a mettersi dalla parte del direttore del set cinematografico. 

Hanno collaborato a questa sua opera prima alcuni vecchi grandi attori, opportunamente riproposti, che interpretano con ironico gusto, non privo di sensibilità, la storia di un gruppo di anziani cantanti o professori d’orchestra che, ospiti di una lussuosa casa di riposo per musicisti che sorge nella verdissima campagna londinese, intendono impegnarsi nel concerto annuale per la celebrazione di un anniversario verdiano, collaborando, grazie agli incassi dello spettacolo, alla sopravvivenza dell’istituzione.

 

Intorno a quest’esile trama si sviluppa l’intero film, nel corso del quale conosceremo un po’ delle storie passate degli artisti, nonché un po' di quelle dei quattro cantanti prestigiosi, che, concedendosi in gruppo, costituiranno il maggior richiamo del pubblico di appassionati accorsi ad ascoltare il concerto.

Sono le piccole e grandi vicende di passioni amorose vissute e improvvisamente troncate - come si conviene a un copione giustamente un po’ melodrammatico – di prime donne capricciose, di incorreggibili seduttori e sciupafemmine; di tradimenti non perdonati, di litigi e rivalità che ancora provocano dolore in questi vecchi irriducibili, non rassegnati affatto al declino, anzi, determinati a essere ben vivi e a dare il meglio di sé.

Hoffman (in una intervista a Enrico Deaglio su un quasi antico numero del Venerdì di Repubblica) li definisce: “pensionati che non vogliono andare in pensione, non vogliono fermarsi … non morire prima di esser morti“.

La bella musica verdiana, che accompagna gli spettatori dall’inizio alla fine del film, è l’elemento suggestivo e anche dominante di questa pellicola malinconica, ma  piena di grazia e misuratissima, che è anche l’omaggio di Hoffman al musicista italiano, dopo la visione del documentario di Daniel Schmid (1984), Il bacio di Tosca, sulla casa di riposo per musicisti che Verdi fondò a Milano.

 

Un buon esordio, non un capolavoro. Si può vedere con un certo piacere.

 

 

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