Regia di Sophie Lellouche vedi scheda film
Non sempre un cinema di spessore evocato con sincera passione e le “carinerie” sentimentali portano buoni frutti e questo “Paris-Manhattan” ne è un chiaro esempio, anche perché finisce presto col piegarsi su se stesso (nonostante qualche guizzo), mostrando anche di possedere una limitata quantità di idee e scarsa capacità/volontà di osare.
In famiglia tutti provano a trovare una sistemazione sentimentale per Alice (Alice Taglioni) che il suo colpo di fulmine in realtà l’aveva già anche avuto (Louis-Do De Lencquesaing), ma poi si è messa di mezzo sua sorella.
Nel frattempo ha trovato nel cinema di Woody Allen la cura per tutti i suoi mali, mentre all’orizzonte sopraggiungono due uomini molto diversi, uno affascinante ma poco serio e poi Victor (Patrick Bruel) dai modi molto più “terra a terra”.
Una grande sorpresa l’aiuterà ad aprire sguardo e cuore.
Esordio nel lungometraggio per Sophie Lellouche che aspira in alto prendendo come riferimento il cinema di Woody Allen, ma che poi tende a scivolare nelle consuetudini della commedia romantica meno ambiziosa che per lunghi tratti gira su se stessa senza trovare affidabili direzioni da imboccare.
Certo questa indecisione non è certo inusuale per le donne, ma varrebbe anche per gli uomini, dell’età di Alice nei giorni nostri, ma il cinema è un’altra cosa e non basta riprendere Woody Allen in tutte le sale (dialoghi col ritratto in casa, consigli cinematografici per curare disturbi o problemi, scene dei suoi film), tanto più se poi non si riescono a dosare i toni (per questo basta vedere la spuntata risoluzione della tentata rapina in farmacia).
Da un oblio, che pare essere destinato a non trovare soluzione, ne scaturisce comunque un finale di ben altro tenore, nel quale si palesa in carne ed ossa il modello di riferimento (sì, proprio Woody Allen) che diviene prima di tutto fattore per capire che nel mondo reale e vicino a se stessi spesso si trova ciò che ci si ostina a cercare altrove senza risultati.
Una scena romantica giostrata con allegria, disinvoltura e sentimento che comunque non basta per risollevare del tutto la pellicola, tanto più visto che appena ci risvegliamo da questa breve oasi di cinema con la “c” maiuscola notiamo come tutto si sia esaurito precocemente (nemmeno un’ora ed un quarto) ed il resto riaffiora presto nella mente.
Un film dunque più artificioso che spontaneo e genuino, certo si avvale di una grande sorpresa/soluzione quando più conta (il finale) e di un cast in buona sostanza di discreto livello, ma non si può dimenticare la pochezza, in tutti i sensi (qualità/quantità), del resto.
Sciupone.
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