Regia di Sophie Lellouche vedi scheda film
Perché cercarsi un fidanzato quando si può avere un rapporto di (in)sana dipendenza con un poster appeso in camera di Woody Allen? Il quale, un Apollo forse non è, ma certo qualche orgasmo intellettuale lo provoca pure lui. Così almeno la pensa Alice, farmacista francese (senza motivi) frustrata che non riesce a estirpare da sé la fama di zitella incallita ormai appiccicatale addosso. E a poco servono i tentativi (imbarazzanti) della sua famiglia, che invece la vorrebbe vedere ammogliata. A Victor, per esempio, riparatore di allarmi, interessato non tanto alle questioni metafisiche, quanto piuttosto alla vita reale. Ovvero l’esatto opposto di Alice, che, invece, ha sempre i piedi ben piantati tra le nuvole e che a quel ménage à trois (lei, lui e Allen) non vuole proprio rinunciare. Woody, infatti, incarna per lei non solo la proiezione di se stessa con cui rapportarsi (avevamo già visto qualcosa di simile in Il mio amico Eric e in Sognando Beckham senza contare poi il fresco di stampa Woody) ma anche il mito insuperato con cui instaurare una dipendenza mista a sudditanza psicologica per nulla propulsiva. E qui sta anche la debolezza della regista che, per il suo primo lungo, sceglie di appoggiarsi a un soggetto terzo quasi non avesse la forza di reggersi solo sulle proprie gambe. Il che stride con quanto vuole comunicare il film, ovvero che bisogna emanciparsi dai modelli. O dall’incubo delle passioni, come invece ripeterebbe ossessivamente qualcun altro.
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