Regia di Sophie Lellouche vedi scheda film
Paris-Manhattan è l'esordio della Lellouche in lungometraggio, una commedia sentimentale con incorporato lieto fine 'agrodolce' (solo quando saremo venuti a patto con noi stessi potremo accettare gli altri; solo quando usciremo dalla fantasia potremo affrontare la realtà) e alleniano a oltranza, caratteristica quest'ultima d'altronde dilagante lungo tutto il film. Perfino la durata (75 minuti circa) è quella standard dell'Allen degli anni '70/'80, così come le musiche jazzate (forte presenza di Cole Porter), certe trovate surreali (l'antifurto che spara cloroformio) e tanto altro ricorda prepotentemente il genio newyorchese, che deve avere apprezzato l'omaggio: compare infatti, non accreditato, nei minuti finali e peraltro in un ruolo da deus ex machina assolutamente alleniano: in quattro battute risolve i nodi centrali della storia e l'avvia verso il lieto fine (va comunque fatto notare che non dev'essere stato un cameo molto impegnativo, poichè proprio in quei giorni il regista americano era in Francia per girare Midnight in Paris). In sostanza la Lellouche debutta in maniera atipica, non tanto parlando di sè come la gran parte degli esordienti, ma omaggiando i suoi punti di riferimento; se il lavoro in sè può sembrare quindi poco personale e troppo Allen-dipendente, comunque non si possono non rilevare la consistenza e la tenuta del materiale narrativo (sceneggiatura della stessa regista), adeguatamente servito da interpretazioni tutte all'altezza (in particolare bravissimo è Patrick Bruel). Una pecca: forse le caratterizzazioni dei personaggi, a parte quelli della protagonista Alice Taglioni e di Bruel stesso, potevano essere approfondite. 5/10.
Alice, farmacista sulla trentina, fatica a trovare l'uomo giusto: forse ha troppe pretese o forse, semplicemente, vive nella fantasia. Il suo ideale maschile, infatti, è Woody Allen, di cui conosce a memoria ogni film e con il poster del quale, in camera sua, Alice dialoga quotidianamente.
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