Regia di Sophie Lellouche vedi scheda film
Filmettino francese assolutamente superfluo, inspiegabilmente distribuito anche da noi, probabilmente sperando nel traino fornito dalla miracolosa (per loro)/incredibile (per noi) presenza di Woody Allen, in voce per la maggior parte del film, in carne e ossa in un paio di brevi scene nel finale. Come nel sublime PROVACI ANCORA SAM di Herbert Ross il maldestro Sam si rivolgeva per consiglio al ritratto di Humphrey Bogart, qui è la giovane e bella farmacista Alice (la poco più che decorativa Alice Taglioni), all'infruttuosa ricerca dell'Uomo Perfetto, a confidarsi col poster del regista di MANHATTAN appeso in camera fin dall'adolescenza. E lui le risponde anche, naturalmente in lingua originale sottotitolata, a suon di battute dei suoi film! Alice ha una famiglia impossibile, una manica di impiccioni da non frequentare nemmeno per le feste comandate, apparentemente tutti perfettini ma di cui nel corso del film si scoprono alcuni segreti per nulla edificanti. La stessa Alice è quanto meno bislacca: contro i suoi stessi interessi di farmacista cura i pazienti che le vengono in negozio con... i dvd, dalle signore depresse, al vicino con l'ulcera da stress, al rapinatore che, evidentemente vittima di un'infanzia difficile, viene rifornito di commedie romantiche (!!!!). Dopo la rapina l'insopportabile padre (il veterano comunque divertente Michel Aumont) la obbliga ad installare un impianto di sicurezza e a tale scopo le manda il tecnico Victor (Patrick Bruel), divorziato da poco, vagamente misogino. I due sembrano proprio non avere niente in comune ma con l'aiuto della sorte e il benefico intervento di Woody Allen nelle vesti di Fata Madrina nonostante gli ostacoli finiranno per convolare a giuste nozze.
La storia è stupidella e il favolistico/surreale scade purtroppo nell'inverosimile; i caratteri sono forzatissimi, le situazioni farsesche, le battute banali e scontate. La regista Sophie Lellouche era fin'ora autrice solo di un cortometraggio del 1999: poteva restarsene tranquillamente nel mondo della pubblicità, non ne avremmo sentito la mancanza.
Il titolo originale di CHI PROTEGGE IL TESTIMONE di Ridley Scott era SOMEONE TO WATCH OVER ME, come la meravigliosa canzone di George e Ira Gershwin, che veniva in effetti eseguita 6-7 volte nel corso del film, a frammenti o per intero, ma ogni volta da un musicista o cantante differente, da Ella Fitzgerald sui titoli di testa a Sting su quelli di coda. Altra classe, altro stile ahimè per questo PARIS-MANHATTAN che ha una colpa imperdonabile: è arrivato a tanto così da farmi detestare BEWITCHED, anche questa immortale canzone-capolavoro, stavolta di Cole Porter, che viene eseguita per TUTTA la durata del film un numero veramente eccessivo di volte e sempre nella medesima versione (non so da quale cantante purtroppo, lo spettatore davanti a me si è alzato proprio sui titoli) fino ad averne la nausea.
Ma il delitto peggiore degli autori di questo film è stato dilapidare le capacità dell'altrimenti incontenibile, esuberante, vitalissimo e logorroico Patrick Bruel (l'ho conosciuto 30 anni fa quando era animatore al Club Méd: una forza della natura!), che pur portando molto bene i suoi 53 anni è decisamente inadatto, qui e altrove, alla parte di eroe romantico; peggio, la regista lo strizza in una parte di solitario, malinconico e pessimista, facendogli pronunciare pochissime battute, tutte molto brevi e che, più che battute, sono aforismi o addirittura sentenze incise sulla pietra. Lo si è visto recentemente in LE PRÉNOM (Cena fra amici) dove sfoderava tutte le sue arti: ma qui, che spreco!
Un film assolutamente da evitare sia dagli ammiratori di Woody Allen che dagli estimatori della commedia francese - e anche dagli altri.
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