Regia di Alain Resnais vedi scheda film
Capolavoro irripetibile o contorto esercizio di stile per intellettualoidi? E’ ovviamente legittimo incensare quest’opera a dir poco singolare di Alain Resnais, ma non è meno comprensibile che qualcuno si sia sentito urtato da tanta innovazione narrativa, dalla difficoltà di accettare un racconto ripetitivo, formalmente destrutturato nello spazio e nel tempo. Provai a vederlo una trentina di anni orsono e non andai oltre una quarantina di minuti. Attori immobili che fissano il vuoto, voce fuori campo che riprende sempre lo stesso testo, colonna sonora lancinante, nessuna azione. Oggi, l’ho rivisto con occhi ovviamente invecchiati ma nuovi. Il tentativo di riassumere la trama del film è del tutto soggettivo. Un gruppo di persone molto altolocate si ritrova in una ricca tenuta privata e assai barocca. Giardini alla francese, chilometri di corridoi, una sala per concerti, un teatrino, stanze dall’arredamento fiammeggiante. Un uomo elegantissimo si confronta con una donna bella e apparentemente fredda. Evoca un loro incontro, un anno prima, forse a Marienbad, forse altrove, durante il quale avrebbero deciso di andar via insieme, per sempre. La donna è forse sposata, forse venne uccisa dal marito in quella occasione, forse lo sarà adesso... Le possibili chiavi di lettura sono tante. Un’allegoria sulla morte? Un “amour fou” che spezza le convenienze di un’alta borghesia stereotipata? Un tentativo di introspezione psicoanalitica? “L’année dernière à Marienbad” ha un andamento teatrale, ma è cinema allo stato puro per la sua paradossale velocità nel cambiare continuamente scenari, tempi e costumi. Dico paradossale perché il film è lento, ma in continuo movimento. Tutto questo non può che spiazzare lo spettatore. Giorgio Albertazzi buca classicamente lo schermo e si aggiudica un’invidiabile posizione nella storia del cinema mondiale. Bello come il sole, sembra recitare in maniera scolastica, non avendo probabilmente potuto capire a cosa stesse andando incontro. Un’annotazione autobiografica: nel 1961, avevo dieci anni. Conservo il ricordo dei miei genitori, con amici, parenti e colleghi, impegnati in animate discussioni su questo film. Chi invocava il capolavoro e chi il bidone. Chissà cosa dicevano? Di certo, mi insegnarono il gioco di “marienbad”: i fiammiferi o le carte distesi a piramide sul tavolo nella sequenza 7 – 5- 3 – 1. A turno, si possono asportare a piacimento, purché dalla stessa riga. Chi si trova a portar via l’ultimo fiammifero o l’ultima carta ha perso. Il film svela la formula con cui si vince sempre. Ovviamente... è complicatissima!
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