Regia di Alain Resnais vedi scheda film
In un lussuosissimo albergo, tra uomini e donne assorti in chissà quali pensieri, spiccano per contrasto tre persone soltanto : un uomo (Giorgio Albertazzi), che corteggia ostinatamente una bella signora sulla base di una promessa che dice essersi fatti un anno prima durante un soggiorno a Marienbad ; la donna stessa (Delphine Seyrig), che ascolta le cose che ha da dire l'uomo e accetta senza remore la sua compagnia, ma asserisce di non essere mai stata nel posto da lui indicato e neanche di averlo conosciuto prima di allora ; l'altro uomo (Sacha Pitoeff), il marito della donna forse o solo il suo amante accompagnatore, una persona dai tratti misteriosi che sta sempre al tavolo a sfidare e a vincere gli occasonali concorrenti in giochi di carte e bastoncini. Non è dato sapere i loro nomi e neanche cosa sia esattamente il luogo in cui si trovano. La stessa Marienbad non è rintracciabile su nessuna carta geografica. Ma c'è stato un anno scorso a Marienbad ? Forse si o forse no. Probabilmente l'uomo si è inventato tutto o la donna finge di non ricordare. In ogni caso siamo alla presenza di un affascinante arabesco della mente, una sorta di labirinto di inestricabile complessità cognitiva.
Alain Resnais trasforma la sceneggiatura di Alain Robbe-Grillet in un intrigante storia d'amore, magari pretestuosa, funzionale per delle "elaborate"escursioni stilistiche forse (un'altro forse), ma pur sempre centrale e risolutiva per ogni tipo di interpretazione che si è tentati di dare per questo film. Ci troviamo immersi in un atmosfera estremamente enigmatica, un non luogo che sembra ondeggiare in uno stato di perenne sospensione emotiva, tra ricordi non corrisposti e allusioni ad un amore che potrebbe sorgere, dove la matematica perfezione delle forme architettoniche si sposa ottimamente con la prospettiva geometrica conferita allo sguardo e dove la fissita statuaria di presenze immobili rendono labile qualsiasi orientamento spazio temporale. Tutte le persone presenti, come in un gioco di specchi, sono ombre che riflettono simulacri di esistenze, sembrano degli automi che si muovono a comando, il loro vociare indistinto striscia tra i lunghi corridoi del grande palazzo, si insinua tra le spesse mura e le colonne agghindate, si posa furtivo lungo i pavimenti lastricati : certifica delle presenze e assolutizza l'indicibile sensazione di vuoto. L'unico spiraglio di vitalità risiede nell'incontro emozionale di due spiriti solitari, nel racconto circostanziato dell'uomo che parla di un passato che sembra non esistere per nessuno e accenna ad un futuro irto di incognite, e nella flebile resistenza della donna, inondata di parole e ricordi che sembrano non appartenergli affatto. Ecco la precarietà del tempo. Il passato e il futuro rimangono idee vagamente percepite. Il presente, invece, è soffocato nell'algida lussuosità del palazzo e nelle statue e fontane che ornano l'immenso giardino, imbalsamato nell'insieme di stucchi e specchi che popolano i lunghi corridoi e i grandi saloni baroccheggianti. La presenza formale dei corpi solidi è annullata dall'assenza sostanziale di calore umano. La monotona ripetitività delle azioni somiglia a un gioco in cui a vincere sempre è quello che vi ha saputo imprimere un procedimento logico che conosce solo lui. Quello che rimane, in mezzo a tanta immobile pomposità, è la capacità di andare oltre l'immaginabile per dare finalmente un senso a qualcosa di concreto, oltre alla speranza che due cuori corrispondano ai ricordi di un passato possibile e alla plausibilità di un futuro certo. "L'anno scorso a Marienbad" (Leone d'oro a Venezia) è un film adulto, di quelli che costringono a una maggiore attenzione e a un maggior impegno cerebrale. Può peccare di gratuità formale, ma non si può non riconoscergli l'impeto sentimentale con cui cerca di offrire un alternativa al modo canonico con cui si è soliti approcciare con la realtà sensibile. Con sincero spirito rivoluzionario e con gli strumenti propri dell'arte cinematografica.
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